La nuova produzione del Teatro Stabile Sloveno, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Boris Pahor, racconta la riconquista di un’ordinaria quotidianità che il protagonista, sopravvissuto all’esperienza del lager, si trova ad affrontare dopo il lungo inverno del ‘45.
La regia, costellata di brillanti e metaforiche intuizioni sceniche, è di Marco Sosič che ha curato anche la riduzione teatrale aiutato nell’adattamento da Igor Lampret. Sosič ha saputo ben materializzare una delicata atmosfera dell’anima, un paesaggio interiore popolato da silenziose presenze, una coreografia di comparse che costituiscono parte integrante di costruzioni espressive e scenografiche.
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di Cristina Favento
La regia, costellata di brillanti e metaforiche intuizioni sceniche, è di Marco Sosič che ha curato anche la riduzione teatrale aiutato nell’adattamento da Igor Lampret. Sosič ha saputo ben materializzare una delicata atmosfera dell’anima, un paesaggio interiore popolato da silenziose presenze, una coreografia di comparse che costituiscono parte integrante di costruzioni espressive e scenografiche.
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