Bambini della comunità Garifuna di Placencia, Belize - photo by Cristina Favento |
Era da un po' che stavo metabolizzando questo viaggio, non me ne vogliano male gli impazienti. Un po' perché ci sono state tante belle novità lavorative nella mia vita, un po' perché sentivo il bisogno di lasciar sedimentare...
Spesso nel mio lavoro è tutto immediato, real time. I viaggi e gli articoli si susseguono incalzanti, e mi ritrovo a passare, con il corpo e con la mente, da metropoli frenetiche a oasi naturali, da immersioni senza scudi in un turbinio di volti e lingue e incontri, all'isolamento che richiede la scrittura. E se una cosa non la butti fuori subito - in immagini, in parole, in indirizzi e link consigliati qua e là che lascino traccia di un percorso, in fugaci impressioni appuntate come post it in questo e altri blog - pare quasi che scada, che scompaia inghiottita dalle sabbie mobili del Panta Rei.
Mi piace questo aspetto del mio lavoro. Induce a un ritmo sincopato di vita che mi regala un'intensità appassionante, che mi rapisce ogni volta, per riscattarmi piena di vibrazioni profonde. Per quanto ami questa vita, però, a volte i pressing produttivi - che non hanno la fisionomia di un volto ben delineato, è una pressione che sento arrivare dalla rapidità folle a cui va il mondo e che cerco di contrastare supportando e partecipando alle tutte le benedette iniziative slow che mi posso permettere - generano una sorta di ribellione intima.
Forse il volto è quello del consumismo, della sete umana di velocità, di notizie, di condivisione, forse è l'inquietudine esistenziale di Pessoa o Chatwin. Poco importa. Prima o poi il senso di ribellione arriva.
E la mia rivendicazione di un diritto alla lentezza prende magari la forma di un silenzio professionale, come in questo caso. Un silenzio che, solo dopo una sana decantazione emotiva, può finalmente, pian piano, ritrovare una qualche voce...
testi e foto di Cristina Favento,
articolo pubblicato in Girandola Errante, Blogautore del Piccolo su Repubblica.it