Alla IV edizione Catodica – la rassegna internazionale di video-art promossa dall’associazione culturale Fucine Mute (FUmetto CInema MUsica TEatro) – amplia il suo raggio d’azione. L’immagine elettronica in movimento, con tutti i suoi aggiornamenti digitali, rimane il perno centrale della manifestazione, abbinandosi però anche all’azione performativa: si fa video-performance, una delle declinazioni possibili della dilatata sperimentazione linguistica entro cui si muove non solo la video-art ma tutta la ricerca artistica contemporanea.
Catodica, come l’anno scorso, rientra nel grande alveo di Trieste Film Festival, presentando una
scelta campionatura di espressioni video, sia italiane che straniere; si sviluppa dunque in parallelo con la produzione cinematografi ca, con la quale certo presenta forti affi nità, non fosse altro per le modalità dell’immagine in movimento che si aff erma e realizza nello snodo temporale. Tuttavia le caratteristiche rimangono diverse, nei fi ni come nei mezzi.
Anche se il cinema si è a sua volta appropriato di formati elettronici e digitali, il video resta uno
strumento fondamentale nella ricerca espressiva e comunicativa degli artisti di oggi, che attraverso questo strumento materializzano la vocazione - già insita nelle avanguardie del secolo scorso - al racconto che si confi gura nel tempo. E il racconto può signifi care molte cose, può vestirsi di simboli e metafore, come rasentare la documentazione, può essere astratto o realistico come un quadro, raccogliere emozioni, proporre visioni e particolari letture dello stato delle cose – una Weltanshaung in digitale – come analizzare stati d’animo, enfatizzare o comprimere, stravolgere situazioni, a seconda della spinta interiore del video-maker.
scelta campionatura di espressioni video, sia italiane che straniere; si sviluppa dunque in parallelo con la produzione cinematografi ca, con la quale certo presenta forti affi nità, non fosse altro per le modalità dell’immagine in movimento che si aff erma e realizza nello snodo temporale. Tuttavia le caratteristiche rimangono diverse, nei fi ni come nei mezzi.
Anche se il cinema si è a sua volta appropriato di formati elettronici e digitali, il video resta uno
strumento fondamentale nella ricerca espressiva e comunicativa degli artisti di oggi, che attraverso questo strumento materializzano la vocazione - già insita nelle avanguardie del secolo scorso - al racconto che si confi gura nel tempo. E il racconto può signifi care molte cose, può vestirsi di simboli e metafore, come rasentare la documentazione, può essere astratto o realistico come un quadro, raccogliere emozioni, proporre visioni e particolari letture dello stato delle cose – una Weltanshaung in digitale – come analizzare stati d’animo, enfatizzare o comprimere, stravolgere situazioni, a seconda della spinta interiore del video-maker.
È quasi sempre di breve durata, un fl ash che illumina la mente e seduce lo sguardo. La video-art è dunque mobile e fl essibile, ora vicina ora lontana dal processo cinematografi co, disposta soprattutto alle metamorfosi più sfrenate (qui ad esempio il lavoro di Gerlinde Helm) quando viene sfruttata appieno la potenzialità trasformistica della sua immateriale trama linguistica.
Le video-performances sono fi rmate da Angelo Pretolani, Francesco Arena, Guillermo Giampietro.
Le video-performances sono fi rmate da Angelo Pretolani, Francesco Arena, Guillermo Giampietro.
Quella di Pretolani è liberamente ispirata all’happening Fall di Allan Caprow. Ideata nell’originale per due persone che interagivano raccogliendo foglie e spargendole lungo un percorso, “in una sorta di ciclo continuo” (Carlotta Pezzolo), nella performance di Angelo Pretolani il protagonista si sdoppia nel personaggio vagamente magrittiano del monitor e nello stesso Pretolani - che ne ricalca i connotati, cappello, valigia - “presenza celeste, di nome, e persona di fatto”. In sostanza un cortocircuito tra rappresentazione e realtà, raff orzata da un’eco di Wim Wenders, attraverso il sonoro tratto da “Il cielo sopra Berlino” dove angeli stanchi anelano alla terrestre materialità. Nel video il personaggio scompare, l’immagine cede alla realtà vissuta, rimane infatti il performer in carne ed ossa che alla fine apre la sua valigia, da cui fuoriescono manciate di foglie d’alloro che andranno ad oscurare il monitor.
Come a dire un sano desiderio di concretezza a scapito della virtualità diffusa.
Come a dire un sano desiderio di concretezza a scapito della virtualità diffusa.
La video performance di Francesco Arena è tratta da “Sospiri/Breaths”, un lavoro avviato dall’artista nel 2004 ed espanso fino ad oggi in una produzione video in progress che conosce svariate soluzioni, abbinando in ogni caso alle immagini bicromatiche – rosso il volto, giallo lo sfondo – una sempre diversa sonorizzazione proveniente da diverse sperimentazioni musicali. Sono visi in primo piano che “respirano” dietro un vetro, esprimendo diversi stati d’animo, le variazioni di sentimenti e sensazioni che segnano il percorso esistenziale di ciascun individuo: “un’ossessione legata alla comunicazione tra gli individui, ai loro stati emotivi più profondi”.
Ancora uno scarto tra la vitale, ansimante fisicità dei ragazzi chiamati a respirare davanti alla telecamera e l’icona immateriale che divengono nella proiezione. Per Catodica 4 si è scelto “Fabio” tra i 23 soggetti raccolti dall’artista, nella versione performativa live con un corpo danzante, quello di Luca Zamar, che traduce in “carne viva gli stati d’animo costretti nelle videoproiezioni”.
Ancora uno scarto tra la vitale, ansimante fisicità dei ragazzi chiamati a respirare davanti alla telecamera e l’icona immateriale che divengono nella proiezione. Per Catodica 4 si è scelto “Fabio” tra i 23 soggetti raccolti dall’artista, nella versione performativa live con un corpo danzante, quello di Luca Zamar, che traduce in “carne viva gli stati d’animo costretti nelle videoproiezioni”.
“Index” - questo il titolo della video-performance di Guillermo Giampietro - si ispira all’Aleph di Borges, cioè quello che, secondo il giudizio di molti critici, viene considerato un punto di partenza che non trova un punto di arrivo, ma solo una direzione. è ancora una volta il conflitto tra illusione e impossibilità reale. Index – suggerisce l’artista – “è quel tipo i struttura formale onnitemporale nella quale è presente il potenziale e il continuo riattivarsi dei sensi e dei significati delle cose”. Un contenitore che vorrebbe racchiudere tutte le cose nell’assurdo tentativo di raggiungere la totalità. La video-performance, che si avvale della collaborazione di Lara Baracetti quale performer live, “si presenta come la metafora sempre incompiuta” di una realtà imprendibile e incontenibile in un “presente vivente”.
E poi c’è la serie di video-proiezioni, la spina dorsale i Catodica, ospitate nei vari spazi del Teatro
Miela, sotto il titolo di “Aggiornamenti”. Si propongono infatti lavori di artisti (alcuni non tutti) tra loro diversissimi, già noti al pubblico di questa rassegna, come Masbedo, Rebecca Agnes, Almagul Menlibayeva, Ofri Cnaani… di particolare spessore semantico, e dalla cifra linguistica riconoscibile. È una peculiarità di Catodica seguire i percorsi di certe personalità che hanno lasciato il segno nell’audience di questa iniziativa. Rebecca Agnes ha legato il suo nome al processo dell’animazione, dischiudendo un mondo in bilico tra fantascienza e rigogliosa quanto poetica, immaginazione visiva. “The Big Bean landed on Earth” racconta ancora di un fagiolo che cresce in terra aliena in un incessante dinamismo paesistico, dove l’artista profonde inesauribili capacità immaginifiche e metamorfiche.
Miela, sotto il titolo di “Aggiornamenti”. Si propongono infatti lavori di artisti (alcuni non tutti) tra loro diversissimi, già noti al pubblico di questa rassegna, come Masbedo, Rebecca Agnes, Almagul Menlibayeva, Ofri Cnaani… di particolare spessore semantico, e dalla cifra linguistica riconoscibile. È una peculiarità di Catodica seguire i percorsi di certe personalità che hanno lasciato il segno nell’audience di questa iniziativa. Rebecca Agnes ha legato il suo nome al processo dell’animazione, dischiudendo un mondo in bilico tra fantascienza e rigogliosa quanto poetica, immaginazione visiva. “The Big Bean landed on Earth” racconta ancora di un fagiolo che cresce in terra aliena in un incessante dinamismo paesistico, dove l’artista profonde inesauribili capacità immaginifiche e metamorfiche.
Alla domanda “Cos’è la video-art?” i Masbedo (due artisti di Milano, che hanno fuso i loro due cognomi: Nicolò Massarra e Jacopo Bedogni) rispondono: “esprimere per immagini una visione distaccata dalla narrativa. Riuscire a formulare un mondo che possa suscitare emozioni utilizzando simboli e metafore.”
Al vertice della produzione video italiana, essi concentrano nei loro lavori: incomunicabilità, solitudine, disincanto, paradosso, senza escludere una possibilità di risalita. Le immagini risentono di una cultura che ingloba Caravaggio, surrealismo, espressionismo, con intensa, drammatica efficacia. I titoli spesso, come “11.45.03” qui esibito, indicano il time code.
Con “Pathos” e “Inside Collusion” ritornano i temi salienti della poetica di Ofri Cnaani (Israele):
l’interrelazione spazio-fisicità, e quella tra chi domina e chi è dominato; il rinvenimento di forme di potere in situazioni sociali e nelle strutture architettoniche, spingendo l’individuo a reazioni innaturali, conseguenti a tensioni psicologiche. Anche momenti in apparenza ludici nascondono espressioni di violenza dispiegata o implosa. I suoi racconti metaforici, spesso inquadrati in cornici teatrali, si colorano di drammaticità.
Al vertice della produzione video italiana, essi concentrano nei loro lavori: incomunicabilità, solitudine, disincanto, paradosso, senza escludere una possibilità di risalita. Le immagini risentono di una cultura che ingloba Caravaggio, surrealismo, espressionismo, con intensa, drammatica efficacia. I titoli spesso, come “11.45.03” qui esibito, indicano il time code.
Con “Pathos” e “Inside Collusion” ritornano i temi salienti della poetica di Ofri Cnaani (Israele):
l’interrelazione spazio-fisicità, e quella tra chi domina e chi è dominato; il rinvenimento di forme di potere in situazioni sociali e nelle strutture architettoniche, spingendo l’individuo a reazioni innaturali, conseguenti a tensioni psicologiche. Anche momenti in apparenza ludici nascondono espressioni di violenza dispiegata o implosa. I suoi racconti metaforici, spesso inquadrati in cornici teatrali, si colorano di drammaticità.
Almagul Menlibayeva, con “Kissing Totems” cambia registro rispetto alla produzione precedente, che ci aveva introdotto nella cultura islamico/animisitca del Kazakhstan, suo paese d’origine. Ambientato tra strutture vetero industriali dismesse, il video racconta del viaggio di una bimba verso l’adolescenza attraverso misteriose apparizioni frammentate e fantasmatici rituali femminili che sembrano ricomporsi nella tecnica del double cannel.
Tra i nomi nuovi, Bruno Muzzolini con “Anema e core” trasporta nel gelido paesaggio dell’Islanda, in un’area vulcanica di severa bellezza, il calore mediterraneo della canzone napoletana, interpretata da un vulcanologo islandese, appassionato cultore dei lidi e della cultura meridionali. Di Davide Bertocchi proponiamo “Atomium Odissey”; ossia l’atomo metaforico che ruota nello spazio cosmico finché viene assorbito ed annullato in esso. Angela Pietribiasi (già apparsa a Catodica) registra una svolta nel suo lavoro con “Di-stanze”. è una meditazione su un luogo abbandonato, che reca tracce di vissuti passati e recenti, senza serramenti, senza porte, aperto a tutti, anche alla vegetazione invasiva.
Tra i nomi nuovi, Bruno Muzzolini con “Anema e core” trasporta nel gelido paesaggio dell’Islanda, in un’area vulcanica di severa bellezza, il calore mediterraneo della canzone napoletana, interpretata da un vulcanologo islandese, appassionato cultore dei lidi e della cultura meridionali. Di Davide Bertocchi proponiamo “Atomium Odissey”; ossia l’atomo metaforico che ruota nello spazio cosmico finché viene assorbito ed annullato in esso. Angela Pietribiasi (già apparsa a Catodica) registra una svolta nel suo lavoro con “Di-stanze”. è una meditazione su un luogo abbandonato, che reca tracce di vissuti passati e recenti, senza serramenti, senza porte, aperto a tutti, anche alla vegetazione invasiva.
L’autrice si abbandona alle sensazioni che questo luogo suscita, entrando un un visionarismo soft,
percorso da scritture che traducono il suo stato d’animo e il suo pensiero. Antonio Giacomin, che
compare per la prima volta, offre un video di danza con la collaborazione di Francesca Debelli. Ma è una danza particolare, “danSneg”, in mezzo alla neve, con le immagini che sfocano nel bianco dominante, facendosi apparizioni di sogno.
C’è poi il gruppo di artisti provenienti dall’Albania e dal Kosovo, Eltjon Valle e Fani Zguro, diversamente documentativi di realtà delle loro terre, mentre Alban Muja assieme a Joanna Rytel intesse una breve, spregiudicata love-story, realisticamente attuale. L’inglese Hetain Patel, che ha dato l’immagine alla locandina, espone un rituale indiano “Kanku-Raga”, mediante il quale elabora uno stretto intreccio tra suono, corpo, percezione visiva. È un linguaggio di segni, ritmati dal suono, impressi sul proprio corpo, che in questo modo configura un nuovo possibile sviluppo della body-art.
Gerlinde Helm lavora sulle possibilità trasformistiche del mezzo digitale, giocando sullo sdoppiamento, sulla specularità, offrendoci una frenetica, ossessiva e frammentata visione del mondo circostante.
percorso da scritture che traducono il suo stato d’animo e il suo pensiero. Antonio Giacomin, che
compare per la prima volta, offre un video di danza con la collaborazione di Francesca Debelli. Ma è una danza particolare, “danSneg”, in mezzo alla neve, con le immagini che sfocano nel bianco dominante, facendosi apparizioni di sogno.
C’è poi il gruppo di artisti provenienti dall’Albania e dal Kosovo, Eltjon Valle e Fani Zguro, diversamente documentativi di realtà delle loro terre, mentre Alban Muja assieme a Joanna Rytel intesse una breve, spregiudicata love-story, realisticamente attuale. L’inglese Hetain Patel, che ha dato l’immagine alla locandina, espone un rituale indiano “Kanku-Raga”, mediante il quale elabora uno stretto intreccio tra suono, corpo, percezione visiva. È un linguaggio di segni, ritmati dal suono, impressi sul proprio corpo, che in questo modo configura un nuovo possibile sviluppo della body-art.
Gerlinde Helm lavora sulle possibilità trasformistiche del mezzo digitale, giocando sullo sdoppiamento, sulla specularità, offrendoci una frenetica, ossessiva e frammentata visione del mondo circostante.
Tra gli artisti locali, ai quali viene dato appositamente spazio per un confronto con le svariate esperienze di questo settore nel mondo, nuovi sono Carlo Andreasi e Roberta Cianciola. Del primo, che è fotografo, l’episodio scelto di “Come un bambino che canta nel buio” è realizzato con una sequenza di immagini fotografiche che persistono sulla visualizzazione di un occhio ingigantito. C’è ossessione e nel contempo un evasivo distacco, un’ambiguità che sfuma le apparenze, secondo una poetica dell’indefinitezza che caratterizza il suo lavoro. Roberta Cianciola, che è alle sue prime esperienze video, con “È tutta farina del mio sacco” fa un discorso autoreferenziale, scegliendo con coraggio un allusivo quanto sintetico linguaggio simbolico. Davide Skerly, che vanta un curriculum specifico da videoartista, con “Lazzarus” ribadisce il suo orientamento narrativo-cinematorafico, mentre Massimo Premuda in “popcorning”, mette in atto l’analogia rilevata tra il comportamento del mais riscaldato che diviene popcorn e quello dei porcellini d’India in stato di eccitazione. Lucia Flego liberamente documenta un fastoso matrimonio giapponese, smagliante di colori e di vetuste tradizioni in contrasto con l’avanzata tecnologizzazione e industrializzazione del paese.
Anche quest’anno Catodica si conclude con un concerto (a cura di audiodrome.it). È la volta dei port-royal, di Genova, definiti pionieri post-elettronici. Risalendo da un post-rock privilegiano ora svariate sperimentazioni elettroniche rilevabili soprattutto nel secondo album “Afraid to dance”. Affascinanti nelle avvolgenti atmosfere di sapore nordico come pure travolgenti di pulsante vitalità nella straordinaria molteplicità di riferimenti stilistici, si distinguono anche per una rievocazione di situazioni tipiche dell’Est d’Europa in un auspicato connubio tra Oriente ed Occidente . Ma il più diretto legame con Catodica consiste nella presenza all’interno del gruppo di un video artista, Sieva Damantakos, che è considerato alla stressa stregua dei musicisti e il cui ruolo di produzione di immagini è determinante per la fisionomia della band.
giovedì 22 gennaio 2009 – ore 20.00 Teatro Miela – p.zza Duca degli Abruzzi 3 – Trieste Ingresso libero A cura di Maria Campitelli
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