23 dicembre 2006

UNA PRIMAVERA DIFFICILE

La nuova produzione del Teatro Stabile Sloveno, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Boris Pahor, racconta la riconquista di un’ordinaria quotidianità che il protagonista, sopravvissuto all’esperienza del lager, si trova ad affrontare dopo il lungo inverno del ‘45.

La regia, costellata di brillanti e metaforiche intuizioni sceniche, è di Marco Sosič che ha curato anche la riduzione teatrale aiutato nell’adattamento da Igor Lampret. Sosič ha saputo ben materializzare una delicata atmosfera dell’anima, un paesaggio interiore popolato da silenziose presenze, una coreografia di comparse che costituiscono parte integrante di costruzioni espressive e scenografiche.

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di Cristina Favento

09 dicembre 2006

GLI ULTIMI SARANNO GLI ULTIMI

Al Politeama Rossetti il 7 novembre Gli ultimi saranno gli ultimi, spettacolo attuale ed ironico, indaga sul cinismo delle leggi di mercato che regolano oggi il mondo del lavoro. E Paola Cortellesi, unica eclettica interprete in scena, conquista il pubblico.

Nota soprattutto per le divertenti partecipazioni al programma tv Mai dire Gol, condotto dalla Gialappa’s Band su Italia1, l’attrice rivela compiutamente a teatro il suo notevole talento. Semplicemente vestita di nero, diretta dal regista Giampiero Solari senza l’ausilio di mirabolanti trucchi e costumi, munita di soli corpo e voce, la Cortellesi confeziona un collage di personaggi diversissimi che raccontano una sola storia.



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Di Cristina Favento



24 novembre 2006

SCIENCEPLUSFICTION FESTIVAL

Putroppo il tempo è, come sempre, tiranno e m'impedisce di decantarvi le mirabolanti attrattive di questo festival davvero imperdibile per gli appassionati e non. A Treiste fino a domenica 26 novembre nelle sale del Cinecity.
Per ulteriori informazioni rimando a

www.scienceplusfiction.org

11 novembre 2006

SPERANZA

Ho messo nel motore di ricerca per immagini la parola speranza. Fatelo anche voi, provate! Volevo immagini e non parole, un linguaggio meno razionale. Naturalmente, per ironia della sorte, ho trovato entrambi (il sito, molto bello, in cui ho reperito è http://www.letteraadunimmagine.com/speranza.htm)



"La mano del mio babbo è duemila volte più grande della mia.
Lui fa il meccanico. Anche io da grande farò il meccanico perché a me mi piacciono molto le macchine e le motociclette.
Con un passo il mio babbo fa cento metri. Se non sta attento batte la testa nei tetti delle case, perché è molto alto.
Lui è buono e mi vuole bene. Lui vuole bene anche alla mamma. Però un po’ di più a me.
Il mio babbo non si fa mai male. Lui mangia più di tutti.
Io da grande voglio essere come il mio babbo"

31 ottobre 2006

LES BALLETS TROCKADERO DE MONTECARLO




Piroettano al Politeama Rossetti il 30 e 31 ottobre gli splendidi e divertenti interpreti di Les Balletes Trockadero de Montecarlo, i cosiddetti Trocks. Dall’esordio nel 1974 a Broadway, la compagnia internazionale, composta da soli uomini, continua a raccogliere consensi di pubblico e critica in tutto il mondo.


28 ottobre 2006

ALICE, UNA MERAVIGLIA DI PAESE

Lella Costa, in scena al Rossetti il 27 ottobre con Alice, una meraviglia di paese, ci regala una nuova agrodolce ed attualizzata versione del personaggio creato da Lewis Carrol nel 1862. L’ambigua identità di Alice, immersa in una dimensione surreale e ricca di paradossi, diventa pretesto di esplorazione e filo conduttore. Un filo di parole ora velocissime, ora scandite, cantilenanti, ora densamente silenziose; un filo di lenzuola bianche che avvolgono sogni; un filo di non sense logico linguistici che tanto bene si prestano a raccontare le follie della nostra realtà contemporanea.

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di Cristina Favento

27 ottobre 2006

LE TRE SEPOLTURE (The Three Burials of Melquiades Estrada)


Regia: Tommy Lee Jones
Soggetto: Tommy Lee Jones, Guillermo Arriaga
Sceneggiatura: Guillermo Arriaga
Fotografia: Chris Menges
Montaggio: Tommy Lee Jones
Scenografia: Gary Wimmer
Costumi: Kathleen Kiatta
Musiche: Marco Beltrami
Origine: Usa\Francia 2005
Produzione: Michael Fitzgerald, Tommy Lee Jones, Luc Besson, Pierre-Ange Le Pogam
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 121’

Premi:
Festival di Cannes (2005): miglior attore (Tommy Lee Jones), miglior sceneggiatura (Guillermo Arriaga)

Interpreti:
Tommy Lee Jones (Pete Perkins), Barry Pepper (Mike Norton), Julio César Cedillo (Melquiades Estrada), Dwight Yoakam (Belmont), January Jones (Lou Ann Norton), Melissa Leo (Rachel), Levon Helm (vecchio con la radio), Mel Rodriguez (capitano Gomez), Ignacio Guadalupe (Lucio), Vanessa Bauche (Mariana), Guillermo Arriaga (Juan)

Nato dalla penna di Guillermo Arriaga, geniale e noto autore di cui già molti riconoscono lo stile narrativo (Amores Perros e 21 grammi), The ThreeBurials of Melquiades Estrada è la vera sorpresa del Festival di Cannes 2005, dove ottiene due importanti riconoscimenti: al già citato sceneggiatore-romanziere messicano, e ad un Tommy Lee Jones, attore al suo esordio alla regia cinematografica (aveva diretto per la televisione The Good Old Boy, nel 1994), che si conferma interprete di grande maestria. Si tratta, forse, della sua performance d’attore più lucida e umana, sincera e profondamente coinvolta da ciò che racconta. Molte infatti, sono le scene girate nel suo ranch in Texas, in quella zona di frontiera friabile e infuocata, tra Stati Uniti e Messico, nella quale Tommy Lee (texano purosangue) e Arriaga sono diventati amici. Ed è proprio attraverso i loro rispettivi sguardi su questa terra che è nata l’idea per il film.
Per quanto lo stesso regista tenda a rifiutargli l’etichetta di “western”, affermando d’aver soltanto narrato un mondo che conosce molto bene, Le tre sepolture è da considerarsi una versione moderna e attuale del genere, che conserva inalterati alcuni connotati tipici di questo topos cinematografico statunitense: l’epopea narrativa, i primi piani, i dialoghi dei protagonisti, la musica, i cavalli. Ma anche la capacità di legare solennemente gli uomini ad un paesaggio da conquistare, un posto da raggiungere a costo della vita. Un ambiente raccontato come spazio sterminato, metafora di spaesamento, che fa ricordare quelle narrazioni ciniche, dense di cattiveria, di Sam Peckinpah. È il respiro stesso del cinema western a farci avvertire, qui, la sua presenza. Il film assume le sembianze di un road-movie a cavallo diviso in quattro parti (quella centrale si intitola “El viaje”) e comincia con il ritrovamento del cadavere, esposto al sole e già ridotto a brandelli da un coyote, di Melquiades Estrada, messicano apparso nel ranch del protagonista, Pete Perkins. È questo l’incipit, crudo e spietato, che presenta attraverso poche immagini la terra di frontiera: ogni giorno decine di persone tentano di attraversare il Rio Bravo, che divide Messico e Texas, per cercare lavoro e una vita migliore verso nord. Ma dall’altra parte, pronto ad aspettarli con il fucile puntato, c’è un mondo yankee fatto di gente vuota, annoiata, impaurita, in grado di respirare solo la spazzatura che la circonda. Come Mike Norton, guardia di confine odiosa e priva di rispetto (inevitabile detestarlo dal primo istante, Barry Pepper è straordinario), colpevole, anche se con alcune leggere attenuanti, dell’uccisione di Melquiades. A questo punto ha inizio la sofferta, crudissima odissea dei tre protagonisti (sì, uno è il cadavere, sempre più nauseante e putrefatto). Pete infatti, per tenere fede alla promessa fatta all’amico, quella di seppellirlo un giorno in Messico, vuole ottenere a suo modo giustizia. Rapisce Mike e lo costringe alla riesumazione della salma. Prende avvio il calvario del giovane yankee, obbligato ad indossare gli abiti della vittima (non gli stivali: nel deserto non si può fuggire scalzi) e a subire gli ordini del protagonista, ossessionato, in una lotta contro il tempo, nel conservare in tutti i modi il cadavere. Ammanettato, umiliato, morso da una vipera, il viaggio dell’assassino si trasforma lentamente in una massacrante presa di coscienza.
Il grande merito di Tommy Lee Jones e Guillermo Arriaga è quello di riuscire ad iniettare nello spettatore una sottile e costante tensione per tutto il film, all’interno di un tessuto narrativo legato, nel ritmo, alle dinamiche del viaggio, con le sue pause, gli imprevisti e i suoi momenti grotteschi. Ma se questo filo rimane teso dall’inizio alla fine senza mai cedere è anche grazie alle suggestioni dei tramonti, alle profondità evocative dei paesaggi, ai colori brillanti del deserto (e ai primi piani di January Jones). Immagini alle quali si alternano visioni brevi e destabilizzanti. Un turbamento, mai eccessivo, che si sopisce solo dopo quella domanda nel finale, alla quale risponde un lieve trascinarsi di zoccoli sulla sabbia.

Manuel Paolino

18 ottobre 2006

LA PAURA E IL CORAGGIO


Per attirare ulteriormente l’attenzione sull’interessante lavoro di Teatro Contatto, ma anche e soprattutto per condividere con voi dei nuovi spunti di riflessione, riporto di seguito l’introduzione che trovate nel loro opuscolo informativo:

La paura e il coraggio. La vertigine e il volo. La paralisi dell’incertezza e lo slancio che accende la piccole e grandi rivoluzioni di tutti i nostri giorni. Contatto attraversa questi poli opposti, sfoglia i molteplici sensi di due parole “forti” per attraversare questa nostra venticinquesima stagione di teatro contemporaneo a Udine. Tante declinazioni e tante riflessioni abbiamo in mente e continuano a sommarsi ancora adesso che stiamo per iniziare il viaggio nella Paura e il coraggio. Pensiamo alle paure individuali – paura della solitudine, dell’abbandono, di non essere all’altezza, dell’intimità, di realizzare veramente i nostri desideri, di ammalarci, di fallire, anche di vivere davvero fino in fondo.
Ci accorgiamo di quanto siano sempre più dentro di noi, invasive, le paure indotte del nostro abitare in un mondo sempre più allargato e vertiginoso. La paura di catastrofi e malattie planetarie, la paura della guerra, della crisi economica, degli extracomunitari, la paura delle altre culture, religioni. La paure create e regola d’arte per tenerci sotto controllo, per addomesticarci. Di fornte a questi scenari di condizionamento e di costrizione, il coraggio ci può allora spalancare nuove vie possibili. Come di fornte e un’uscita d’emergenza. Contatto verifica il valore e la necessità del coraggio di cambiare, di reagire a piccole e grandi ingiustizie, di uscire dalle situazioni che non ci piacciono. Il coraggio di chiedere aiuto, di portare avanti assieme ad altri lotte in cui crediamo. Provare quanto sia liberatorio riuscire ancora ad indignarsi. Coraggio e forza di credere che noi contiamo, che le nostre scelte contano, coraggio come nuovo eroismo quotidiano. Di queste e altre “paure e coraggi” cercheremo di parlare – come comunità riunita dal teatro – con sincerità e disponibilità, forse disegnando strategie per superarle o conquistarli, diventando più consapevoli che il coraggio è accessibile, a portata di mano, e che con la paura non è necessariamente obbligatorio continuare a convivere

17 ottobre 2006

OPÈRA COMIQUE APRE LA STAGIONE DI PROSA AL ROSSETTI

Opéra Comique, ideato dal regista Antonio Calenda e scritto da Nicola Fano, martedì 17 ottobre ha aperto la stagione di prosa 2006-2007 del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Dal prologo all’epilogo, dall’impianto scenografico agli interpreti, dalle scelte musicali al titolo, tutto in questo nuovo spettacolo di produzione contribuisce a dichiarare l’intenzione dei due autori: portare in scena il teatro a teatro. Attraverso un raffinato e giocoso intreccio di citazioni e rimandi, di creative rielaborazioni e manieristiche originalità, si vuol rendere palese omaggio. Un omaggio alla grande tradizione teatrale italiana, che ancor oggi ci rappresenta in tutto il mondo, e, in particolare, alla comicità popolare ed al melodramma.

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di Cristina Favento

16 ottobre 2006

TEATRO CONTATTO, STAGIONE 2006/2007

Con mio grande dispiacere, ieri sera non ho potuto assistere alla particolare rappresentazione, proposta a Udine da Teatro Contatto, dell’Elettra -in stereofonia- di Hugo von Hoffmannstahl (una produzione Mercandante Teatro Stabile di Napoli in Collaborazione con Fondazione Teatro Stabile di Torino). Purtroppo, data la particolarità della performance (che prevedeva l’ascolto amplificato olofonico tramite cuffie per ogni spettatore) i posti disponibili per gli spettatori erano solo 130 e non ho avuto la fortuna di esser tra questi.
Mea culpa per aver tardivamente prestato attenzione all’interessante cartellone presentato da Teatro Contatto per la stagione 2006/2007 che s’intitola “La paura e il coraggio”.
Affinché non succeda anche a qualcun altro tra voi, vi consiglio vivamente di visitare il sito del CSS Teatro Stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia: www.cssudine.it

SAMUEL BECKETT, PICCOLA BIBLIOGRAFIA

Samuel Beckett è unanimemente considerato uno dei più grandi autori del ‘900 e non credo abbia bisogno di presentazioni. Nel caso alcuni tra voi avessero voglia però di approfondire la conoscenza, in occasione del centenario della sua nascita, mi sono presa la briga di selezionare alcuni dei testi più completi e recenti, dunque facilmente reperibili in commercio.
Alcune edizioni più datate si possono trovare in una buona biblioteca, i titoli sotto elencati li trovate invece in una qualsiasi libreria degna di questo nome oppure potete acquistarli direttamente in internet:

Teatro:
Teatro completo, editore Einaudi/Gallimard, 1994 (testo bibbia della sua produzione teatrale);
Aspettando Godot, editore Einaudi, 1970 (Il più famoso ed emblematico tra i suoi testi teatrali);
oppure ancora Finale di partita, edito da Einaudi

Beckett romanziere:
Trilogia (Molloy - Malone muore – L’innominabile). Editore Einaudi, 1996;

Incursioni poetiche:
Samuel Beckett, Poesie, edizioni Einaudi, 2006 (semplice riedizione dello stesso volume che trovare edito sempre dall’Einaudi anche nel 1999)

Varie ed eventuali:
Disiecta, Scritti sparsi e un frammento drammatico, Editore EGEA, 1991 (volume ricco ed estremamente eterogeneo che raccoglie alcune chicche firmate dall’autore)

Play Beckett. Visioni multimediali nell’opera di Samuel Beckett (con DVD), autori Massimo Puliani, Alessandro Forlani, editore Halley, 2006 (interessante ed originale ricognizione critica dell’opera multimediale dell’autore)

La biografia più completa in commercio: Samuel Beckett. Una vita, autore James Knowlson, editore Einaudi, 2001;

Infine un testo che racchiude interventi autori vari su autori vari, edito dalla Minimum Fax editore nel 1999: Un mestiere chiamato desiderio, interviste sull’arte del teatro. Beckett, Ionesco, Miller, Pinter, Williams.

Per una bibliografia completa rimando al sito www.samuelbeckett.it/biblio.htm

13 ottobre 2006

BECKETT&PUPPET FESTIVAL

Ultimamente ho pochissimo tempo libero e non riesco più ad aggiornare il blog come vorrei, ci tenevo però a segnalarvi una delle prossime iniziative culturali veramente interessanti a Trieste:
Visioni immagini sguardi di/da/con Samule Beckett
Un'originale ricognizione visiva dell'opera del drammaturgo irlandese con un'intrigante selezione di registi cinematografici noti a livello internazionale.
Sono 20 drammi teatrali di Samuel Beckett trasposti sullo schermo che saranno proiettati in due giornate, il 16 ed il 17 ottobre, e seguiti da due originali rappresentazioni teatrali.
I registi si sono attenuti meticolosamente alle istruzioni teatrali dell'autore, lavorando in chiave personale solo all'interno di questi confini. La caratteristica di questa antologia non è quindi una rilettura dei testi beckettiani, ma una semplice diversità di stili visuali. Un omaggio ai cento anni di un artista che ci ha dato una delle testimonianze più alte della riflessione sulla condizione umana della cultura europea del Novecento.

PROGRAMMA:
Lunedì 16 ottobre
2006 ore 17.30
proiezione video totale 168 min

Not I, 1972, 14min
Regia: Neil Jordan, con Julianne Moore

Rough for Theatre I, 1950, 20min
Regia: Kieron J. Walsh, con David Kelly, Milo O’Shea

Ohio Impromptu, 1980, 12min
Regia: Charles Sturridge, con Jeremy Irons

What Where, 1983, 12min Regia: Damien O’Donnell, con Sean McGinley, Gary Lewis

Footfalls, 1975, 28min
Regia: Walter Asmus, con Susan FitzGerald, Joan O’Hara

Come and Go, 1965, 8min
Regia: John Crowley, con Paola Dionisotti, Anna Massey, Sian Philips

Act Without Words I , 1956, 16min
Regia: Karel Reisz, con Sean Foley, musica: Michael Nyman

Krapp’s Last Tape, 1958, 58min

ore 21.00
Teatro Miela

Teatropersona (Civitavecchia - Roma)
Beckett Box
progetto vincitore del concorso Beckett&Puppet

Martedì 17 ottobre ore 17.30

Visioni Immagini Sguardi di/da/su Samuel Beckett
rassegna di film e video, proiezione video totale 183 min

Catastrophe, 1982, 7min
Regia: David Mamet, con Harold Pinter, Rebecca Pidgeon, Sir John Gielgud

Rough for Theatre II,
1950, 30min
Regia: Katie Mitchell, con Jim Norton, Timothy Spall, Hugh B. O’Brien

Breath, 1966, 45min Regia: Damien Hirst

That Time, 1974/75, 20min
Regia: Charles Garrad, con Niall Buggy

Act Without Words II, 1956, 11min
Regia: Enda Hughes, con Pat Kinevane, Marcello Magni

A Piece of Monologue, fine 1970, 20min
Regia: Robin Lefévre, con Stephen Brennan
Play,1962,16min Regia: Anthony Minghella, con Alan Rickman, Kristin Scott-Thomas, Juliet Stephenson

Rockaby,1980,14min
Regia: Richard Eyre, con Penelope Wilton

Film , 1965 (pellicola), 20min
Regia: Alan Schneider/Samuel Beckett, con Buster Keaton, 20’

22 settembre 2006

LA LIBERTÀ DI STAMPA


L’argomento è uno dei più triti e ritriti, a volte, però, è bene ricordare alcuni principi che vengono dati per scontati e non lo sono poi così tanto.
Riprendendo tra le mani uno scritto del 1944 di George Orwell, “la libertà di stampa” in cui egli parla delle difficoltà incontrate nella pubblicazione del noto romanzo “La fattoria degli animali”, ho trovato un frammento che mi fa piacere condividere qui con voi:

Quando si chiede la libertà di stampa e di parola non si chiede libertà assoluta. Finché ci saranno società organizzate, vi deve sempre essere, e in ogni caso vi sarà sempre, un certo grado di censura. Ma la libertà, come disse Rosa Luxemburg, è “libertà per l’altro”. Lo stesso principio è contenuto nelle parole di Voltaire: “Detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Se la libertà intellettuale, che senza dubbio è stata una delle caratteristiche della civiltà occidentale, significa davvero qualcosa, vuol dire allora che ognuno avrà diritto a esprimere e a pubblicare ciò che secondo lui è la verità, a un’unica condizione: che essa non faccia torto, in maniera del tutto inequivocabile, al resto della comunità

George Orwell

18 settembre 2006

LE GIORNATE DEL CINEMA MUTO




Festeggia il venticinquesimo compleanno Le Giornate del Cinema Muto, kermesse cinematografica che si svolgerà a Sacile dal 7 al 14 ottobre, con un programma ricco ed articolato presentato a Pordenone dal presidente dell’associazione Livio Jacob.
Accompagnata da momenti d’approfondimento e incontri serali con i maggiori esperti internazionali, la manifestazione sarà strutturata in varie sezioni e retrospettive che rivisiteranno, alla luce di nuove scoperte, anche e pellicole e autori già presentati negli anni scorsi. Tra questi Griffith, Ince e Jean Mitry, del quale è stato recentemente ritrovato a Belgrado un documentario sul montaggio che sarà presentato in anteprima.
La retrospettiva centrale dell’edizione 2006, intesa anche a valorizzare il cinema come strumento produttivo ed industriale, è dedicata al centenario della casa di produzione danese Nordisk: assieme ad alcuni film d’inizio ‘900 ispirati al fenomeno delle “schiave bianche”, icona all’epoca del cinema danese, saranno proiettati Atlantis di August Blom e Pagine dal libro di Satana di Carl Th.Dreier.
Ci saranno omaggi a Lon Chaney, Lillian Gish, King Vidor e Rodolfo Valentino con due film perduti, ritrovati e recentemente restaurati; Luoise Brooks inaugurerà la prima serata con Lulù; un’inedita rassegna sulla magia del cinema che andrà da Méliès a Velle passando per Segundo de Chomon; un’interessante sezione dedicata al cinema italiano con due importanti restauri realizzati dal Museo Nazionale del Cinema di Torino (le versioni muta e non di Cabiria); sarà grande protagonista, infine, il cinema d’animazione con proiezioni che andranno dai pionieristici Messmer, Sullivan e Terry sino ad un’antologia di dieci bellissime Silly Symphonies di Disney.

Alle attività in programma si affiancheranno alcune manifestazioni collaterali tra cui Filmfair, Fiera del Libro e del Collezionismo Cinematografico, ed una mostra su Charlie Chaplin che, grazie al direttore artistico del Festival David Robinson, arriverà per la prima volta in Europa.
“Le Giornate sono un’occasione unica offerta a studiosi di tutto il mondo per scoprire o rivedere dei film veramente rari”, sostengono gli organizzatori e, aggiunge l’ex Presidente della Commissione Cultura Nevio Alzetta, “Le riviste di settore dedicano numerosi articoli all’iniziativa ed offrono alla nostra regione una vetrina internazionale che valorizza e promuove il territorio”.
I rappresentanti di Regione, Provincia, Camera di Commercio e Comune di Pordenone e Sacile, sostenitori della manifestazione, sottolineano in coro la necessità di valorizzare l’importante attività cinematografica della regione, intesa sia in senso produttivo che di archiviazione e mantenimento di un grande patrimonio culturale.

Cristina Favento, articolo pubblicato su "Il Piccolo"

31 agosto 2006

OMAGGIO A DYLAN THOMAS

Questa poesia si apprezza nei momenti difficili, è un talismano, un ritornello che allevia, una consolazione...

Di più non voglio dire, se non che considero Dylan Thomas un grande poeta. Proprio per questo metto solo la prima strofa della poesia perchè al momento non ho una traduzione valida del resto,
Cris

And the death shall have no dominion.
dead men naked they shall be one
with the man in the wind and the west moon;
when their bones are picked clean and the clean bones gone,
they shall have stars at elbow and foot;
thought they go mad they shall be sane,
thought they sink trought the sea they shall rise again;
thought the lovers be lost love shall not;
and the death shall have no dominion.

E la morte non avrà più dominio.
i morti nudi saranno una cosa sola
con l'uomo nel vento e la luna d'occidente;
quando la loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite svanite,
ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
nonostante impazziscano saranno sani di mente,
nonostante sprofondino in mare risaliranno in superficie,
nonostante gli amanti si perdano l'amore sarà salvo;
e la morte non avrà più dominio.


Dylan Thomas

16 agosto 2006

FESTIVAL DEI FESTIVAL

Dal 7 agosto sino al 3 settembre è in corso all’Ariston di Trieste il “Festival dei Festival”, organizzato sinergicamente dalle realtà cinematografiche cittadine (tra cui Cappella Underground, Maremetraggio, Alpe Adria Cinema, I mille occhi; Bonawentura, Filmakers, ecc..) per impedire che una storica sala cinematografica si trasformi in una sala a luci rosse.
Un appello a sostegno del cinema d’essay e, allo stesso tempo, una seconda possibilità per rivedere i grandi film della stagione assieme ad alcune rarità difficilmente reperibili.

Tra le prossime pellicole in programma alle 21.15 all’Arena Ariston:

LA SCHIVATA di Abdellatif Kechiche Mercoledì 16 agosto

5 DOCUMENTARI di KRZYSTOF KIESLOWSKI Giovedì 17 agosto

Il programma completo è consultabile dal sito del Teatro Miela:
www.miela.it

11 agosto 2006

ANTONIO DAS MORTES (O Dragao da Maldade Contra o Santo Guerriero)

Regia: Glauber Rocha
Soggetto: Glauber Rocha
Sceneggiatura: Glauber Rocha
Fotografia: Ricardo Stein
Montaggio: Glauber Rocha
Scenografia: Glauber Rocha
Costumi: Glauber Rocha, Paulo Lima, Paulo Gil Soares
Musiche: Marlos Nobre, Walter Queiros
Origine: Brasile 1969
Produzione: Mapa Filmes
Distribuzione: Mapa Filmes
Durata: 95’

Premi:
Festival di Cannes (1969): miglior regia (Glauber Rocha)

Interpreti:
Mauricio do Valle (Antonio das Mortes), Odete Lara (Laura), Othon Bastos (l’insegnante), Hugo Carvana (il capo della polizia), Jofre Soares (il colonnello), Lorival Pariz (Coirana), Rosa Maria Penna (Santa Barbara), e la gente di Milagres (Bahia - Brazil)

La fame dell’ispanoamericano non è solo un sintomo allarmante di povertà sociale, ma l’essenza stessa della società. Così, la nostra cultura la possiamo definire come una cultura della fame. In questo consiste l’originalità del cinema novo in relazione al cinema mondiale. La nostra originalità è la nostra miseria, sentita ma non condivisa. Ciò nonostante, noi la comprendiamo: sappiamo che la sua eliminazione non dipende da programmi tecnicamente elaborati, ma dalla forza stessa della fame che, minando le strutture, le superi qualitativamente. La più autentica manifestazione della fame è la violenza”.

Così scrisse Glauber Rocha (1939-1981) su quelle pagine che costituiscono il manifesto del cinema novo brasiliano, L’estetica della violenza (Eztétyca da fome, 1965).

Emerso nel clima riformista della presidenza di Joao Goulart (1961-1964), questo movimento cinematografico fu l’espressione di un intreccio di fermenti culturali: il processo venne acceso da una generazione di cineasti provenienti, come Rocha (la personalità di punta), dal giornalismo e da varie esperienze di critica cinematografica. L’intenzione era quella di opporsi in maniera decisa al modello sociale ma anche culturale americano (a quella dittatura dell’immaginario, lussuosa e piacente, d’importazione hollywoodiana), e di sondare gli aspetti della sofferenza di una nazione che guardava esclusivamente alla realtà della metropoli (in particolare Rio de Janeiro), vivendo come diffuso un benessere invece elitario. Violenza non fine a sé stessa quindi, ma intesa come più alta manifestazione culturale della fame, come puro momento di affermazione della propria esistenza. Cinema politico, di vocazione sovversiva, capace di assimilare i discorsi estetici del neorealismo italiano e della Nouvelle Vague, il suo motto era “un’idea in testa e una cinepresa in mano”.

Tuttavia il movimento non riuscì nel suo intento principale: mentre un immagine inedita e sconcertante del Brasile si diffondeva nel mondo, infatti, nel paese d’origine nessun nuovo pubblico si formò e fu in grado di sostituire quegli spettatori irrimediabilmente assuefatti al cinema made in USA.
Il cinema novo restò confinato all’interno di una ristretta categoria intellettuale. La sua rapida parabola storica fu troncata dal colpo di stato militare del 1964. In breve tempo Rocha si ritrovò a girare all’estero i suoi film, mentre in patria prese vita un nuovo cinema di opposizione, il Cinema Marginal. Tutto questo non prima che il regista realizzasse il suo quarto lungometraggio (il primo a colori): Antonio das Mortes, premiato a Cannes nel 1969.

In un villaggio del sertao, la zona desertica povera ed esplosiva del nord-est brasiliano, una banda di contadini affamati si ribella al padrone. Questi chiama un killer di professione per soffocare la rivolta, Antonio das Mortes (già protagonista in Il dio nero e il diavolo biondo, 1964), ma l’uomo, dopo aver ferito in un duello il capo dei rivoltosi, prende coscienza della realtà e si schiera dalla parte dei contadini. È il primo atto di una vicenda che racconterà la strage dei ricchi e dei loro servi e in cui avranno un ruolo importante anche le figure simboliche di un uomo di colore, un maestro e una “santa”. Con l’estro di un cantastorie, Rocha firma una rappresentazione densa di contenuti, suggestioni, allegorie: certamente cinema politico e sociale, ma anche cinema capace di riassumere in sé un’infinità di componenti spettacolari. Il folclore, la musica, i colori, la tradizione del western e quella del teatro si mescolano alla religione e alla mitologia. E all’anima di un paese.

Il 12 febbraio del 1970 sul Corriere della Sera Giovanni Grazzini scriveva: “il film di Rocha lascia un segno profondo negli spettatori sensibili ai toni violenti e ai ritmi deliranti. Alcuni possono lamentarne l’impianto melodrammatico, altri il sublime estetismo, altri ancora l’isteria figurativa. A nessuno però, che abbia il senso dello spettacolo, può sfuggire il fascino di un opera che, saldamente radicata nella miserabile grandezza della condizione latino-americana, esprime fuori dei consueti schemi narrativi, con uno stile tanto elaborato nella sua apparente spontaneità, le drammatiche convulsioni di un’umanità in cui la fame, i massacri, i secolari soprusi, alimentano un’epica speranza di redenzione”.

Manuel Paolino

05 agosto 2006

LA DONNA SERPENTE di CARLO GOZZI

Fiabesca ironia, grande maestria artistica ed un monito sottile caratterizzano il riadattamento di Giuseppe Emiliani de “La donna serpente”, tratta dal testo del 1762 di Carlo Gozzi e rappresentata mercoledì scorso a Trieste al Teatro Romano Festival. Lo spettacolo, nato da uno studio per il Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia, ripropone tutta la raffinata bellezza dell’originaria opera tragicomica.

La bella fata Cherestanì rinuncia all’immortalità per amore del principe Farruscad che, offuscato da ingannevoli apparenze, dubita della sua amata e maledicendola la trasforma in serpente. Si affastellano nella storia sottili intrighi, magici sortilegi, guerre sanguinose e prove iniziatiche.
Alle drammatiche vicende dei nobili protagonisti, rappresentate con varie tecniche di animazione riconducibili al più creativo teatro di figura, s’intrecciano le comparse di Pantalone, Brighella e Truffaldino, comici e venezianissimi interpreti della più classica commedia dell’arte.

Pur rispettando l’estro compositivo di Gozzi, Emiliani aggiunge alla già complessa struttura narrativa una dimensione altra. “Guai a quei tempi che hanno bisogno di fiabe per raccontare la verità” ammonisce nel prologo per bocca del capocomico che, con polvere bianca su un’area illuminata, circoscrive in scena un palcoscenico dentro al palcoscenico. Un escamotage linguistico che consente interventi metateatrali e giochi di maschere senza maschera. Agli attori, svincolati dalle regole tradizionali, è consentito dismettere e riappropriarsi a piacimento del proprio personaggio sotto gli occhi del pubblico.

“La donna serpente è tutto un trionfo di mutamenti scenici a vista, di alternanze improvvise tra luci e tenebre” dichiara il regista “per Gozzi la rappresentazione è illusione, e solo nell’illusione teatrale possono vivere, allegorizzate, le forti passioni, solo nella parvenza di un incantamento costruito artificialmente è possibile prendere le distanze da situazioni quotidiane”.

Lo spettacolo, sulle musiche originali di Uri Caine, è dunque una danza di alternanze tra maschere e figure, popolano e aristocratico, comico e drammatico, finzione e rappresentazione. È una magica sarabanda espressiva di artifici e raffinate invenzioni, come le mani che irrompono da porte per svelare i meccanismi del suono.

La metamorfosi, tema preannunciato dal titolo stesso, grazie agli esotici costumi di Carla Teti ed alle scene di Graziano Gregari, da diegetica diventa fascinosamente estetica. Come per alchemico incanto, nonché per qualità e consumata esperienza del cast, lo svelamento degli artifici scenici, anziché intaccare la poesia teatrale, la arricchisce in equilibrio ed eleganza.

Cristina Favento,
recensione pubblicata su “Il Piccolo” di venerdì 4 agosto 2006

04 agosto 2006

FILI ROSSI A PONTEROSSO


La rassegna “SPECCHIO D’ACQUA 2” che ogni giovedì dall’inizio di luglio ha portato svariate presenze artistiche della contemporaneità a confronto con le placide acque del Canale di Ponterosso, si è conclusa giovedì 3 agosto con l’installazione-performance dal titolo “IL FILO A PONTEROSSO.

Un filo rosso (in realtà una corda robusta, date le dimensioni dello “specchio d’acqua”) allaccia a più mandate le due rive del canale; è metafora aperta a svariati significati: contatto, ponte, intreccio, attraversamento e avvicinamento, prospettiva illusoria; suggerisce - basti pensare al mitico filo di Arianna - un percorso che unisce, che si fa trade d’union di contenuti e di obiettivi da raggiungere.
E’ ipotizzabile un contatto tra i dieci protagonisti del progetto, la possibilità di scambio, di reciproco arricchimento, ma il concetto può estendersi a scambi più dilatati e diversificati, sempre costruttivi.

Sulla trama del filo rosso, che presenta il Canale in una luce nuova, si esibisce un funambolo, presenza nel contempo simbolica e spettacolare. Un uomo traccia un suo percorso, semplice e lineare, ma in condizioni difficili, sulla trama rossa sottostante già intessuta, procedendo, in equilibrio precario, sulle incertezze, sulle contraddizioni che segnano ogni strada, nell’intento comunque di raggiungere, tra gli ostacoli che la vita quotidianamente i regala, la meta prefissata.

Tutto il ciclo è stato promosso dal GRUPPO 78 I.C.A., a cura di Maria Campitelli, con l’intento di animare in modo alternativo uno dei luoghi urbani più suggestivi, suggerendo con video, performances, installazioni, nuove possibili letture di un assetto urbanistico costruito dalla storia. L’iniziativa è sostenuta dal Comune di Trieste Assessorato alla Cultura, dalla Fondazione CRTrieste e dalla Assicurazioni GENERALI.

Il filo a Ponterosso, è un progetto collettivo, frutto dell’elaborato accordo di dieci artisti del GRUPPO 78 (Giuliana Balbi, Roberta Cianciala, Pierpaolo Ciana, Myriam del Bianco, Fabiola Faidiga, Daniela Frausin, Cristina Lombardo, Luigi Merola, Massimo Premuda, Barbara Stefani) che, per una volta, hanno accantonato i propri linguaggi ed i propri obbiettivi peculiari, per fondersi in un’unica voce.
Si è esibito in performance live Andrea Loreni, funambolo formatosi alla scuola di Circo Contemporaneo di Torino. Annovera al suo attivo numerose esibizioni, tra cui il recente attraversamento del fiume Po.
Una sonorizzazione appropriata, curata da Vincenzo Russo, composta da diversi brani musicali, ha accompagnato il percorso funambolico, accentuandone la tensione emotiva.

IL FUNAMBOLO


In riferimento all'articolo "Fili rossi a ponterosso"

SPAZI ALTRI

Cari amici di passaggio,
oltre ai miei consueti interventi, ho deciso di aprire le porte di questo spazio a chi condivide con me le stesse passioni ed ha qualcosa da dire...

Prossimamente troverete degli interventi esterni di Manuel Paolino che sta terminando un master di "Scritture per il Cinema / Sceneggiatura e Critica" al DAMS Cinema di Gorizia in collaborazione con l'Associazione di cultura cinematografica Sergio Amidei e Transmedia S.p.a.
Le sue schede critiche mi sono sembrate semplici, essenziali ed interessanti. Un'ottima occasione per imparare qualcosa in più su dei film non contemporanei. Spero condividerete questo parere.

Se altri tra voi volessero partecipare ativamente, saranno i benvenuti.

Cris

PUPPETFESTIVAL- dal 21 agosto al 2 settembre

Anche quest’anno il PuppetFestival, giunto alla sua 15esima edizione, promette d’incantare bambini ed adulti con 44 spettacoli, in programma dal 21 agosto al 2 settembre, proposti dai più affermati rappresentanti italiani ed europei del Teatro di Figura.
Da Gorizia a Romans d’Isonzo, attraverso i più svariati generi e tecniche, la rassegna porterà in scena burattini e marionette, pupazzi e Contastorie, passando per le tradizioni veneta e partenopea, per i canovacci emiliani, per favole e leggende di derivazione popolare.
Tra gli ospiti più attesi Sergio Bini, in arte Bustric (lo ricordiamo nella sua parentesi cinematografica a fianco di Benigni ne “La vita è bella”), che il 2 settembre a Gorizia chiuderà il Festival con il suo “Pierino e il lupo”, delicata e fantasiosa rilettura di un classico di Prokofiev attraverso uno speciale allestimento per azioni mimiche, teatro visivo e pantomima.
Debutterà in prima nazionale anche la nuova produzione del Teatro Stabile Sloveno di Trieste: “Olga e l’Arcobaleno”, allestimento bilingue di Marco Sosič.

Sostenuta da Regione, Provincia, Comuni e Cassa di Risparmio di Gorizia, l’intera manifestazione è ormai consolidata a livello regionale ed accresce di anno in anno il proprio prestigio nazionale ed internazionale. Tangram Teatro, Minimax, Teatrino della Marignana, Teatro del Pavaglione, Gaspare Nasuto, Marionette Grilli, Dante Cigarini, Divadlo Piki (Slovacchia), Teatro Fabularia (Austria) e Vitì Marčika (Rep. Ceca) sono alcuni tra gli altri nomi di compagnie ed artisti previsti in cartellone.
Nella prima settimana gli spettacoli animeranno alcuni inediti scenari: dalle spiagge e calli di Grado, che diventerà dal 21 al 27 agosto una vera e propria città-festival, sino a Romans d’Isonzo ed al nuovo percorso del Collio isontino, un itinerario di valorizzazione del territorio organizzato in collaborazione con le cantine del Movimento Turismo del Vino FVG.

Tratto da un canovaccio dell’800 e presentato da Romano Danielli, uno dei più illustri interpreti della tradizione burattinesca bolognese, “Ginevra degli Almieri” aprirà la seconda parte del Festival che dal 28 agosto al 2 settembre si svolgerà a Gorizia, sede storica della manifestazione e dell’ente organizzatore CTA, Centro Regionale di Teatro di Animazione. “Lo spettacolo è interessante dal punto di vista sia storico, sia filologico” spiega Roberto Piaggio, direttore artistico del Puppet assieme ad Antonella Caruzzi, “è una proposta molto raffinata, così come lo è il Teatro di Figura dedicato agli adulti, un teatro cui si sono avvicinati grandi autori e tutte le avanguardie del ‘900”.

Proprio al pubblico adulto sarà dedicata la sezione Tendenze con la fase conclusiva del progetto “Beckett&Puppet”, rivisitazione inconsueta avviata dal CTA nella scorsa edizione in vista del centenario del grande drammaturgo, con due tappe ad ottobre: una ricca tre giorni teatrale a Gorizia dal 13 al 15 e un percorso video-cinematorgafico al Miela di Trieste il 16 e 17.

Cristina Favento, pubblicato su "Il Piccolo" del 01/08/2006

31 luglio 2006

LE TROIANE di SERENA SINIGAGLIA

Trieste, venerdì 29 luglio

Il pubblico che venerdì sera stava assistendo rapito a Le Troiane della giovane Serena Sinigaglia, interrotto a mezz’ora dal termine a causa di uno scrosciante temporale estivo, ha abbandonato a malincuore le sedute del Teatro Romano arrendendosi al maltempo. Lo spettacolo, organizzato all’aperto nell’ambito della rassegna estiva Teatro Romano Festival, grazie alla perfetta interazione di lavoro testuale, talento registico e passione recitativa, sin dal primo momento è riuscito a coinvolgere intensamente gli spettatori.

La regista si confronta consapevolmente coi dei grandi testi classici e riscopre creativamente la complementarietà di Troiane e Iliade. Il lavoro di innesto omerico sull’opera di Euripide, si presta ad un interessante esperimento di montaggio drammaturgico: ad una bianca sinfonia di dolore femminile, le troiane sconfitte e destinate all’esilio in schiavitù, si contrappongono gli aggressivi interventi maschili dei nero vestiti vincitori greci.

Lo spettacolo si sviluppa, articolato e complesso, attraverso una tensione espressiva ed un’intelligente coreografia narrativa. I dodici attori non lasciano mai la scena, storie parallele s’intrecciano incalzanti e sul palcoscenico, con veloci cambi d’abito e giochi di luce, dal collettivo emerge l’individuale, a ciascun protagonista è concesso il suo momento di gloria.

Il tragico lascia spazio a un’ironia a tratti comica; il passato interseca il presente; ai lamenti funebri si mescolano stranianti testi di Jimi Hendrix e degli U2; coralità di movimenti danzanti ritmano bruschi picchi drammatici; i fuochi e le ceneri di Troia coprono e confondono vincitori e vinti; urla in scena una fisicità carnale, sacrificale e violenta come lo sono gli atti di guerra.
È un teatro energico, diretto, che sfrutta e valorizza i propri mezzi e non risparmia niente, è un teatro che emoziona.

Dal classico emerge, infine, anche grazie ad un’attenta operazione scarnificatrice della prosa, l’attualità universale del messaggio contemporaneo. “È un coro di donne piangenti che esprime l’orrore della guerra, di ogni guerra, è il tentativo di dare voce all’indicibile: al dolore più grande, alla violenza più insensata” dichiara la regista “Questo spettacolo si aggiunge alle migliaia di voci che in questi anni hanno detto il loro no alla guerra”.
di Cristina Favento

26 luglio 2006

GOOD MORNING BALKANS

È uscito il nuovo numero di Fucine mute con un articolo sulla mostra internazionale di arte contemporanea "Good Morning Balkans" ed un'intervista al pittore e curatore della mostra:
Intervista a Fatmir Velaj

25 luglio 2006

L’IRONIA FILOSOFICA

Fondamentale nella vita, difficile definirla nel modo migliore. Ne ho trovato uno nel mio libro di filosofia delle scuole superiori (vedi teorie romantiche, nel senso filosofico del termine), piuttosto dottrinal-formale ma spero mi perdonerete:

L’ironia è l’atteggiamento che nasce dal comprendere che l’inesauribile ricchezza dell’Assoluto non potrà trovare adeguata espressione in nessuna manifestazione finita.
L’uomo romantico si accosta alle varie espressioni dell’infinito (lo spirito, la storia, la natura, ecc.) come a qualcosa di provvisorio, diveniente.
Il motto di spirito esprime appunto questa relatività delle cose, lo scarto tra realtà profonda ed apparenza [scarto ontologico tra mondo fenomenico in cui viviamo e mondo numerico a cui tendiamo], l’inadeguatezza di ogni umana rappresentazione.
L’ironia come dissimulazione diviene dunque la cifra stessa del filosofare, la spinta ad andare oltre qualunque verità parziale, privilegiando socraticamente il percorso della ricerca più che non la verità assoluta, sua irraggiungibile meta.


Tratto da L’avventura del pensiero,
di L.Lacchini e P.C.Rivoltella


In conclusione, molto più semplicisticamente e in senso lato, si potrebbe dire che l’ironia è il risultato di una consapevole accettazione dei limiti, propri, altrui e situazionali.

IRONIA IN MUSICA

[Dedicata alle mie ex-compagne di liceo e di avventure, in particolare ad Anto]

Ci sarebbero state possibilità di scelta più sofisticate, ricercate e sottili, ma mi sono lasciata guidare da ricordi adolescenziali di chitarre, piccole disperazioni espresse senza intonazione e risate consolatorie.

Indipendentemente dal fatto che la cantante canadese piaccia o meno, per rimanere in argomento in chiave più leggera, ho scelto quindi il testo di una canzone intitolata appunto Ironic:

An old men turned ninethy-eight
He won the lottery and died the next day
It’s a black fly in your Chardonnay
It’s a death row pardon two minutes too late
Isn’t it ironic.... don’t you think?

It’s like rain on your wedding day
It’s a free ride when you’ve already paid
It’s the good advice that you just didn’t take
Who would’ve thought, it figures

Mr. Play It safe was afraid to fly
He packed his suitcase and kissed his kids good-bye
He waited his whole damn life to take that flight
And when the plane crashed down he thought
Well isn’t this nice...
And isn’t it ironic... don’t you think?

Well life is a funny way of sneaking you up on you
When you think everything’s okay nad everything is going right
And life has a funny way of helping you out when
Ypu think everything’s gone wrong and everything blows up
In your face

A traffic jam when you’re already late
A no-smoking sign on your cigarettes break
It’s like ten thousaund spoons when all you need is a knife
It’s meeting the man of my dreams
and then meeting is beautiful wife
and isn’t it ironic... don’t you think?
A little too ironic.... and I really do think...

Life is a funny way of sneaking up on you
Life is a funny, funny way of helping you out
Helping you out


di Alanis Morissette

21 luglio 2006

PREMIO INTERNAZIONALE SERGIO AMIDEI

Da sabato 22 avrà inizio a Gorizia la 25esima edizione del premio internazionale "Sergio Amidei"
per la migliore sceneggiatura cinematografica. Il programma prevede proiezioni, iniziative di vario genere ed incontri che proseguiranno fino al 29 luglio. Tra gli ospiti più attesi ci sarà Wim Wenders che ritirerà il Premio all'Opera d'Autore quest'anno a lui assegnato dalla giuria che vanta nomi quali Mario Monicelli, Ettore Scola e Franco Giraldi.
Oltre un centinaio le pellicole in cartellone, ne citiamo solo alcune: «Il Caimano» di Nanni Moretti, "Romanzo criminale" di Michele Placido, "Volver" di Pedro Almodovar, "Match Point" di Woody Allen, e "Anche libero va bene" di Kim Rossi Stuart.
Il tempo oggi stringe e mi costringe ad esser telegrafica, potete però trovare tutte le informazioni riguardanti questa bella iniziativa sul sito del PREMIO AMIDEI

19 luglio 2006

PROGETTI INDIANI


Nei mesi di gennaio e febbraio ho avuto la fortuna di fare una bellissima esperienza di scambio internazionale in India. Al di là delle mille cose che in proposito potrei dire, vorrei che quest’esperienza non si riducesse solo ad una dimensione personale.
Molte volte ho sentito un bisogno profondo che, prima d’ora, non sono riuscita ad esprimere in atti pratici. Ora ho la possibilità di farlo, di realizzare, nel mio piccolo, dei progetti concreti grazie ai contatti che ho stabilito durante il viaggio.
Si tratta ancora di progetti in fase di elaborazione ma spero vivamente, anche grazie alla collaborazione di quanti già ci stanno lavorando, di riuscire a realizzarli. Così come spero di poter presto coinvolgere attivamente, magari anche attraverso questo blog, le persone che sono interessate a dare un contributo, in qualsiasi forma.
Rimando quindi a prossimi aggiornamenti e per il momento vi saluto con una foto. È stata scattata durante la visita in un villaggio rurale in cui siamo stati letteralmente travolti dai bambini, gioiosamente festosi anche solo per averci toccato le mani.

17 luglio 2006

IL KITSCH

Per capire appieno quanto vi riporto bisognerebbe leggere il passo intero, se non addirittura il libro. Mi accontento però di proporvi almeno un significativo assaggio nella speranza che non vi fermiate alla prima riga.

Quando parla il cuore non sta bene che la ragione trovi da obiettare. Nel regno del kitsch impera la dittatura del cuore. I sentimenti suscitati dal kitsch devono essere, ovviamente, tali da poter essere condivisi da un gran numero di persone. Per questo il kitsch non può dipendere da una situazione isolita […].
Nel regno del kitsch ogni cosa deve essere presa con assoluta serietà.
Il vero antagonista del kitsch totalitario è l’uomo che pone delle domande. Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro.
Nel momento in cui il kitsch è riconosciuto per quel che è, […] perde il suo potere autoritario ed è commovente come qualsiasi altra debolezza umana. Perché nessuno di noi è un superuomo capace di sfuggire interamente al kitsch. Per quanto forte sia il nostro disprezzo, il kitsch fa parte della condizione umana.

Milan Kundera, tratto da
L’insostenibile leggerezza dell’essere

16 luglio 2006

DONNE AL CINEMA

È iniziata il 4 luglio e proseguirà sino a domenica 6 agosto la manifestazione “Donne al Cinema, laboratorio di cultura, creatività, talenti delle donne” organizzata a Trieste da Progetto Donna Salute Mentale in Androna degli Orti 4b a Trieste, un piacevole spazio aperto tra le mura di Cittavecchia.
Si tratta di un’iniziativa interessante (ad ingresso gratuito) giunta alla sua quinta edizione e sostenuta da diverse associazioni e cooperative, dalla Regione e dalla Provincia.

L’obiettivo primo è quello di far conoscere, promuovere e valorizzare la produzione delle donne nel cinema e nelle varie forme di creatività: proiezioni di corti e lungometraggi, documentari, incontri e interviste si alternano a laboratori aperti al pubblico di fotografia, sartoria e danza, spettacoli teatrali, mostre e concerti.

La comune volontà è di porre al centro la comunicazione delle idee e di ricercare uno sguardo aperto e non convenzionale, di considerare problematiche e punti di vista fuori dalle logiche commerciali e di proporre un’immagine della donna lontana da stereotipi culturali e pregiudizi sociali. Al centro delle varie iniziative vi è sempre e comunque il fare delle donne inteso risorsa per la trasformazione della realtà.

Le organizzatrici sottolineano, inoltre, un ulteriore aspetto importante valorizzato dal progetto di concezione basagliana: “La scelta di utilizzare come luogo in cui svolgere la manifestazione la sede di un servizio pubblico risponde all’idea che i luoghi delle istituzioni per la saluteranno resi il più possibile accessibili, aperti ai bisogni di socialità e di partecipazione delle persone, riconoscendo a questo una valenza di produzione di salute”.

Tra le iniziative prossime più interessanti in programma:

Venerdì 14 luglio alle 20.30 Ersilia Monti presenta la Guida al vestire critico Emi 2006, a seguire il film Identità e ricami- Donne da un deserto indiano (27 min);
Sabato 15 luglio dalle 10 alle 17, Workshop di fotografia ritratto e Autoritratto”, alle ore 21 proiezione di Ho sparato ad Andy Warhol di Mary Harron, Usa 1996 (106 min);
Domenica 16 luglio ore 21 Laboratorio di artigianato teatrale;
Mercoledì 19 luglio ore 21 La storia del cammello che piange di Byambasuren Davaa, Germani-Mongolia 2004, (90 min) documentario;
Sabato 22 luglio, ore 19 Degustazione di cibi tipici siciliani preparati dalle socie dell’associazione;
Martedì 25 luglio ore 21 Me and you and everyone we know di Miranda July, Usa Gran Bretagna, 2005 (91 min);
Mercoledì 26 luglio The Woodsman di Nicole Kassel, Usa 2004, (87 min).

Vi ho riportato solo alcuni degli appuntamenti giornalieri della rassegna, se desiderate maggiori informazioni potete telefonare (040 368780) oppure scrivere a progettodonna.sm@ass1.sanita.fvg.it

IL NOSTRO SENSO SECONDO BORGES

Un uomo si pone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto

Jorge Luis Borges

MATER NATURA

Proiettato come opera prima a Trieste nell’ambito del Festival Maremetraggio 2006, Mater Natura si è guadagnato la simpatia del pubblico conquistando un ex equo come miglior lungometraggio.
Il film parla della storia d’amore di Desiderio, un trans interpretato da una splendida e sensuale Maria Pia Calzone, con un ragazzo comune che le fa venir voglia di cambiare vita. Attorno alla protagonista ruota tutto un mondo tragico quanto gioioso, che parla di dignità e di riscatto sociale, popolato di personaggi estrosi ed incredibilmente autentici.

Azzeccatissima ed affascinante la composizione del cast di variegata provenienza. Tra i nomi, spicca quello di Valdimir Luxuria nel ruolo di un regista teatrale che sostiene la candidatura di un politico perché, ingenuamente, crede che questi sosterrà i diritti dei “diversi”. Nel corso degli incontri al Maremetraggio Village, l’attore, nonché onorevole, ci tiene ironicamente a precisare “L’unico vero travestito del film è proprio il politico, gli altri personaggi fanno tutto fuorché travestirsi, non si nascondono, hanno il coraggio di mostrarsi per quel che sono”.


Il film è stato pluripremiato ma allo stesso tempo censurato per gli argomenti trattati benché, in realtà, non ci siano scene volgari né violente. Nonostante le difficoltà ed il ridotto budget di produzione, il risultato non lascia trasparire i propri limiti. Massimo Andrei, regista e sceneggiatore, è riuscito a supplire con creatività e passione ad eventuali carenze tecniche ed ha creato una convincente commistione tra commedia e dramma, tra dolorosa amarezza ed allegra ironia.
Benché ricalchi modelli già noti al pubblico europeo, il più evidente è quello almodovariano, il prodotto finale, ricco di spunti personali e di citazioni, si può considerare di una qualche originalità nel panorama cinematografico italiano. “Vengo soprattutto da 20 anni di teatro, questo è il dato più significativo in merito alla mia formazione” dichiara Andrei “poi possiamo parlare di altri riferimenti a grandi cineasti, innumerevoli nel lungometraggio gli omaggi a Fellini; i veri modelli cui mi sento più vicino sono però meno delicati, provengono da un certo cinema spagnolo più passionale e sanguigno, mi basti ad esempio citare Bigas Luna piuttosto che Amenabar”.

L’intento del regista, come lui stesso spiega, era raccontare di normalità attraverso la diversità; “Non volevo solo lustrini e paillettes, anzi, per quanto possibile, volevo evitare di ricorrere ad uno stereotipo abusato”. Il racconto aspira a mantenere una certa onestà di fondo nella descrizione di uno status altro, rappresentato molto umanamente, ricco di una serie valori affatto distanti da quelli “salvaguardati” dalla famiglia ed, anzi, certamente meno ipocrita di una certa borghesia perbenista. Forse il significato più semplice e profondo, precisa l’onorevole Luxuria, sta racchiuso in una semplice frase del suo personaggio “Anche noi teniamo n’anima, scassata si, ma la teniamo”.

Nel film si nota una certa ricerca estetico-formale, un’impressione confermata e palesata dal regista, e certamente uno dei tocchi più caldi e vivi alla pellicola nascono dalla sua napoletaneità.
“Napoli è un prisma di colore, gioia e dolore, bellezza e bruttezza ma è una città che ha cuore e parla senza paura la lingua del sentimento, è sempre profonda, mai superficiale. Napoli è la città più travestita d’Italia” dice Andrei “ho voluto usare il linguaggio che mi forniva e che si prestava perfettamente al tipo di opera che cercavo”.

BRAZIL



Ho trovato, spulciando tra le vecchie cartelle del pc, un collage delle immagini di un fantastico viaggio in Brasile.
Sensazioni, reminescenze, scoperta. Un paese magico.
Le immagini in ogni caso parlano da sole, non occorre che aggiunga altro
...

GIOIA AZZURRA

Nonostante le croci, infine, resta la delizia, vincere il titolo mondiale è pur sempre una soddisfazione da festeggiare.
Nella vita quotidiana di ognuno, così come nella storia collettiva, ci sono certo occasioni ed avvenimenti di ben altra portata che meritano maggiore attenzione rispetto ad una vittoria sportiva. Ciò nonostante, credo nulla si possa (o si debba) dire per sminuire il coinvolgimento così viscerale e spontaneo che lo sport, e il calcio in particolare nel nostro paese e proprio in uno dei suoi momenti più critici, riesce a suscitare.

Spesso in alcune calde giornate di questi giugno e luglio 2006, lungo tutto lo Stivale, il normale corso di impegni e impellenze quotidiane è rimasto surrealmente sospeso per i fatidici novanta minuti (più eventuali tempi supplementari!).
Partita dopo partita, sono cresciute coesione, passione e partecipazione generale, fino alla spettacolare ed avvincente semifinale con la Germania e alla, purtroppo più discutibile, sconfitta della Francia.

Subito dopo i calci di rigore che proclamavano campione del mondo la nazionale italiana, con la forza dell’entusiasmo ed una corsa mozzafiato, sono arrivata davanti al maxi schermo allestito a Trieste in Piazza Unità d’Italia per assistere alla premiazione finale in diretta da Berlino.
Mi sono ritrovata immersa in un bagno di folla festante che, cantando l’inno nazionale e sventolando bandiere tricolore, esultava in un impeto di gioia collettiva.
Non si può dire che io sia una fervente fautrice del nazionalismo, anzi, ma questa volta sono stata ben contenta di fare eccezione.

Questo mondiale è stato fonte di grandi emozioni e, al di là della conquista a livello sportivo ed agonistico, mi sono sentita felice di poter festeggiare assieme all’Italia intera. Ho pensato, durante la premiazione, che in città non ci poteva esser luogo più adatto per celebrare la vittoria e che, forse per la prima volta, riuscivo ad attribuire un senso concreto al nome della piazza.
Se anche i nomi ed i luoghi non erano gli stessi, sono sicura che siamo stati in tanti a provare le stesse emozioni, è stato un bel momento.

Speriamo che questa sofferta finale funga, simbolicamente, anche da monito per la tutela della dignità e dei valori intrinsechi di cui lo sport dovrebbe sempre esser portatore.
Concludo con le parole del Presidente del Consiglio Prodi che, questa sera a Palazzo Chigi, ha accolto Lippi e gli azzurri rientrati trionfalmente a Roma: “Grazie per aver dato, ad un’Italia che troppo spesso tende a dividersi, una straordinaria occasione d’unità per condividere lo stesso orgoglio e lo stesso sentimento d’appartenenza”.

Cris

OMAGGIO A DINO CAMPANA

Sono un eco i Canti Orfici, un incanto ipnotico questa poesia che la memoria replica incessante passeggiando sulle Rive triestine.

(Barche amorrate)

Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele!
Che tesson e tesson: lamento
Volubil che l’onda che ammorza
Ne l’onda volubile smorza
Ne l’ultimo schianto crudele
le vele le vele le vele


UNA GROENLANDIA INEDITA

Antropologo e documentarista, Lorenzo Hendel, regista del lungometraggio “Quando i bambini giocano in cielo”, si cimenta per la prima volta col cinema. Presentato a Stoccolma nella sezione cinema italiano e vincitore dell’Ischia Film Festival, quest’opera prima, una forma di archeologia visiva in chiave poetica, si rivela interessante da più punti di vista.
In particolare, incuriosisce l’incontro culturale con una diversità a noi lontana che riscopriamo, attraverso un esperto sguardo antropologico, diversa da come la dipinge l’immaginario collettivo.

Il racconto intreccia due storie parallele di solitudini infantili che si consumano in due differenti periodi storici e ambienti culturali. Su questo perno narrativo, gira un continuo confronto valoriale che si stempera nel dipanarsi degli avvenimenti. La distanza tra i due mondi rappresentati, il locale e lo straniero, l’atavico ed il contemporaneo, sembra progressivamente ridursi sino al contatto finale, drammaturgicamente possibile grazie all’interazione tra le due storie. L’incontro produce consapevolezza e consente, ove ancora possibile, il riavvicinamento tra un padre e il figlio.

Le spettacolari immagini paesaggistiche accompagnano il pubblico nel confronto con temi impegnativi quali la lotta per la sopravvivenza, la solitudine, le diversità religiose, la condizione subalterna della donna. “Non c’è ideologia nel mio film, non vuole essere dimostrativo” dichiara Hendel. Il suo è un messaggio d’altro tipo, universale ed esplicito: solo attraverso un’interazione rispettosa, aperta e senza pregiudizi, può avvenire davvero l’incontro-scambio con una diversa cultura, un incontro che ci arricchisce, ci cambia e ci permette di conoscere meglio noi stessi.
La pellicola, girata tra Italia e Groenlandia, racchiude sette anni di lavoro e l’esperienza di vita del regista a stretto contatto con le popolazioni locali.

“L’idea per questo film nasce nel ’98, nel corso delle riprese per un documentario sugli eschimesi per il programma GEO della Rai. “Ho subito amato quel popolo dal passato insospettabilmente tragico, ricco di storia e drammi ma anche di una grande forza di spirito. Sono rimasto affascinato da un minimalismo quasi infantile fatto di spiriti e magia” racconta Hendel “Realizzando il nostro progetto, abbiamo anche portato la comunità di lassù a guardarsi indietro” dichiara con modesto orgoglio parlando dello sconcerto di quelle popolazioni per la sua curiosità nei confronti del loro passato, vissuto sino a quel momento come qualcosa di cui vergognarsi.

Il regista racconta di quanto la sua avventura cinematografica si sia rivelata emozionante anche per il rapporto con gli attori, per lo più reclutati sul posto e totalmente a digiuno di esperienze recitative. Si sono dimostrati assolutamente naturali e spontanei davanti alle telecamere. Seguendo le indicazioni di regia e sceneggiatura, hanno fatto propri i personaggi e si sono comportati come avrebbero fatto davvero nella realtà. Di loro ci racconta Hendel: “si immedesimavano a tal punto da sembrare totalmente veri; paradossalmente, proprio perché incapaci di mentire e dissimulare, hanno una tale ingenuità ed innocenza che permette loro di raggiungere un’autosufficienza espressiva unica”.

Qualche critica ed autocritica nascono, invece, da un’analisi della sceneggiatura, troppo sbilanciata tra passato e presente, forzata e leggermente lacunosa in alcuni passaggi. “Mi sarebbe piaciuto poter modificare alcune parti e correggere errori che noto solo a posteriori” confessa il regista “purtroppo però, i punti di non ritorno imposti dal sistema produttivo cinematografico non lo consentono”.

Cristina Favento

MAREMETRAGGIAMOCI!!

Da venerdì 30 giugno fino a sabato 8 luglio è in corso a Trieste la settima edizione di Maremetraggio, Festival Internazionale del cortometraggio. Ogni sera alle 21.30, al Cinema Estivo Giardino Pubblico, è prevista la proiezione dei corti in concorso seguiti da un lungometraggio per la sezione Ippocampo.

Il programma della manifestazione è ricco anche di appuntamenti giornalieri nell’ambito del Maremetraggio Village allestito in Piazza della Borsa: oltre alla mostra “Roberto Rossellini Cantastorie”, nel corso dell’intera settimana, sono previsti dibattiti, lezioni di cinema ed incontri con registi e attori.

Il Festival è cresciuto, quantitativamente e qualitativamente, in questi sette anni divenendo un atteso appuntamento fisso che ogni anno allieta gli appassionati di cinema e non.

Divertenti, originali, sperimentali, curiosi, questi spicchi di pellicola sono una prelibata occasione per gustare opere al di fuori dei tradizionali circuiti di mercato. Naturalmente il consiglio è di approfittarne, salvo conflitti d’interesse calcistici, non mancate!

Trovate ulteriori informazioni ed aggiornamenti giornalieri su:

http://www.maremetraggio.com/


Tra le migliori proposte di ieri sera:

Divertente e spiritosissimo il corto in bianco e nero Alice et moi del belga Micha Wald; riflessivo ed indagatore l’olandese (why do I keep going) Forward di Martijn Veldhoen; oniricamente statistico trevirgolaottantasette di Valerio Mastrandrea, che denuncia le media di persone morte ogni giorno in Italia nel 2005 per incidenti sul luogo di lavoro; originale infine l’opera prima del documentarista ed antropologo Lorenzo Hendel, il lungometraggio Quando i bambini giocano in cielo girato in sette anni tra Italia, Danimarca, Islanda e Groenlandia.

MI SONO INNAMORATA DI RAIUMUNDA

Pedro Almodovar ci regala con Volver, l’ultima fatica celebrata a Cannes, nuove emozioni e l’ennesimo personaggio femminile da ricordare, una splendida Raimunda interpretata da Penelope Cruz che già aveva conquistato il pubblico con Rosa in "Tutto su mia madre" dello stesso regista spagnolo.

“Penelope ha dimostrato di avere più mordente nei personaggi popolari che in quelli raffinati” dichiara il regista; la sua disarmante vulnerabilità e la sua emotività catturano macchina da presa e spettatori e la rendono insostituibile.
Le forme, il trucco e l’abbigliamento di Raimunda, nuova eroina delicata ed energica che sbotta in momenti di rabbia furibonda per poi crollare come una bambina indifesa, rendono palese omaggio alle nostre dive degli anni ‘50 ed enfatizzano la bellezza emozionante della Cruz. Nei suoi occhi di c’è qualcosa di inesprimibile, di prezioso.

Basterebbero anche solo alcune inquadrature di quegli occhi a fare di questo film un piccolo gioiello. Ma naturalmente Almodovar non si ferma a questo e ci dà molto di più. Ci regala un film che fa sentire il vento di Levante, l’eco di una canzone struggente, il brivido caldo di emozioni che ci accompagnano anche dopo aver lasciato la sala.

Render giustizia all’inesprimibile è uno dei segreti di questo cineasta. Attraverso il grande schermo, Almodovar ci presta per qualche ora il suo sguardo capace di cogliere e di esaltare, di addentrarsi sotto la superficie, di tradurre passioni e moti dell’animo in colore ed inquadrature, rumori, sguardi rubati e piccoli gesti rivelatori. Il suo è uno sguardo lucido, diretto, solidale, consapevole, profondamente umano. Uno sguardo capace di restituire un sapore intenso, un senso intrinseco e profondo difficile da esprimere a parole.

Poeticamente spiritoso ed ironicamente tragico, il regista ritrae un mondo femminile incantevole e passionale, fragile e teneramente sensibile, delicato e disarmante, capace di soccombere di fronte ad un ricordo e di lottare tenacemente fino alla morte per arrivare alla verità. Racconta mostruosità e drammi senza la pesantezza del tragico, senza giudizio. I suoi personaggi incontrano i lati oscuri della natura umana e, ciascuno a modo proprio, riescono ad affrontarli, a conviverci con coraggio, accettandoli come fossero parte ineluttabile di un’intensità vitale che non si può scomporre in bene e male.
In Volver sono naturalmente protagoniste le donne, impersonate da un grande cast in cui spicca una vecchia conoscenza del regista, Carmen Maura, nel ruolo della madre. Donne profonde e reali che, chi timidamente, chi con pragmatica combattività, si oppongono tutte a quel vento che accende fuochi e follia, pur sapendo non si può sedare perché è parte della natura stessa.

La sceneggiatura svela progressivamente colpi di scena intuiti, velati nelle immagini, sospesi negli sguardi in camera, sussurrati, presenti sin dalle prime inquadrature senza, per questo, sminuire il fascino del racconto. Almodovar riesce quasi a materializzare un presagio di ritorno come fosse una presenza costante che attende pazientemente di incontrarci. Un ritorno al passato, alle radici, a emozioni sepolte, alla propria identità, a verità da sempre conosciute, allo scorrere del fiume, all’amore materno.



NEI SUONI DEI LUOGHI


Vi segnalo un’interessante iniziativa musicale che allieterà la nostra estate con un gran numero di concerti gratuiti eseguiti in alcuni dei luoghi più suggestivi del Friuli Venezia Giulia e dei Paesi limitrofi.

Si aprirà il 20 giugno a Gorizia, con il concerto inaugurale dell’orchestra d’archi Karmelos, il Festival Musicale Internazionale Nei Suoni Dei Luoghi che proseguirà sino al 12 settembre coinvolgendo più di 500 musicisti provenienti da 12 diversi paesi. Il cartellone prevede 80 concerti e spazia dalla musica classica al jazz, passando per tango, flamenco e musica etnica.
Organizzata dall’Associazione Progetto Musica di Monfalcone e giunta all’ottava edizione, la manifestazione ha attirato nel corso degli anni un crescente interesse di pubblico ed istituzioni. Le iniziative del programma presentato ieri dal coordinatore generale Massimo Gabellone, affiancato dall’assessore regionale alla cultura Roberto Antonaz e dai rappresentanti delle realtà locali coinvolte, avranno luogo su territorio regionale e in alcuni paesi dell’area Adriatico Orientale.
Tra i principali appuntamenti, il Concerto per la Pace, evento centrale del Festival, si terrà a Medea il 22 luglio. Non mancheranno tributi a Mozart sia in versione classica che alternativa: l’Orchestra Sinfonica del FVG diretta da Tiziano Severini si esibirà assieme a Federico Agostini; David Riondino e Francesco Bencivenga eseguiranno un recital musicale-letterario con testi di Lorenzo Da Ponte; il De Angelis Quartet proporrà temi mozartiani in versione swing-jazz e l’Ensemble di fiati dell’Associazione Filarmonica del FVG una singolare versione di Cosi fan tutte. Il Quartetto di Cremona e i duo violino, Domenico Nordio al pianoforte con Ferdinando Mossutto, Mauro Tortorelli e Giacomo Fuga, renderanno omaggio a Schumann. Presenti anche i Fast food Jazz, i Tris Tango ed i Flamenco Libre.
Il Festival, inteso a valorizzazione tradizioni locali e peculiarità del territorio, si svolgerà per lo più in piccoli suggestivi centri come i castelli di Colloredo di Monte Albano; Podsreda in Slovenia, Vosendorf in Austria e della pittoresca Grisignana in Croazia. “L’idea iniziale” ricorda Alessandro Fabbro, presidente del consiglio provinciale di Gorizia ente promotore, “era portare cultura e buona musica nei borghi e nei piccoli comuni piuttosto che costringere la gente ad andare nei grandi teatri”. Uno spunto semplice che ha consentito di sviluppare un fitto reticolo istituzionale, tra i recenti sostenitori anche il Conservatorio Tomadini di Udine, estesosi ben oltre i confini regionali. La musica diventa occasione d’incontro, di scambio culturale e, grazie a svariate iniziative collaterali, anche motore economico e di promozione turistica.
Oltre al significativo arricchimento per la realtà artistica locale, Nei Suoni Dei Luoghi costituisce una concreta possibilità di dialogo e di cooperazione, in particolare con i paesi dell’area balcanica. Assieme all’Italia sono sei i paesi oggi coinvolti attivamente nell’organizzazione: Austria, Slovenia, Croazia, Bosnia Herzegovina, Serbia ed Albania. "Nel panorama attuale" concordano con Antonaz i rappresentanti delle istituzioni locali "un simile progetto favorisce la coesione tra popoli, territori e culture diverse e promuove all’estero un’immagine positiva del Friuli Venezia Giulia, riscopertosi al centro di una nuova Europa". La musica travalica confini geopolitici e si fa ambasciatrice di pace, di solidarietà, di uguaglianza e rispetto, diviene strumento universale di concertazione ed integrazione.
I valori che caratterizzano lo spirito della manifestazione sono valsi al Festival importanti finanziamenti europei e diversi riconoscimenti a livello internazionale. Tra i più prestigiosi, al Forum contro la Povertà tenutosi lo scorso marzo a Valencia, Nei Suoni Dei Luoghi è stato indicato dalle Nazioni Unite come modello esemplare di cooperazione allo sviluppo ed è stato inserito tra le attività celebrative per il 60° anniversario dell’Unesco.
Cristina Favento

Per ulteriori informazioni potete visitare il sito
www.neisuonideiluoghi.it

IL GRANDE SILENZIO


Non è un film per tutti, anche se probabilmente farebbe bene a molti, bisogna essere preparati per andare a vederlo. Per chi ama il cinema si tratta certamente di un’occasione, come ce ne sono poche, d’incontro con un’essenzialità contestuale e formale. Per chi invece non è abituato a simili visioni, è un’opportunità per sperimentare l’inconsueto e riflettere sugli intenti. È un’esperienza più che una visione, un anfratto meditativo che Philip Gröning è riuscito a ricreare nelle sale cinematografiche. Ci hanno messo quindic’anni dalla Grande Chartreuse, l’antico monastero dell’ordine dei Certosini dove è stato realizzato il film, per accogliere la richiesta del regista, infine autorizzato ad effettuare le riprese a condizione che vivesse all’interno e secondo le regole della comunità religiosa.

Il tentativo è indubbiamente puro, Gröning distilla da un vissuto un film, mostra senza voler dimostrare. Le sue sono immagini pazienti, lentamente conquistate con l’ausilio dei pochi mezzi tecnici a disposizione (niente troupe, niente luci artificiali) in sei mesi di vita monastica, scrupolosamente incasellate in lunghi metri di pellicola. Ritrae la semplicità, la natura, l’abnegazione, lo scorrere immobile dei giorni nel susseguirsi mutevole delle stagioni, una ciclica ripetizione senza tempo.
Queste tre ore di soli rumori d’ambiente, canti religiosi e vita scandita da rintocchi di campana sono un antidoto contro la fretta, la superficialità e la superflua sovrabbondanza del nostro tempo. Omaggiano magistralmente la lentezza, la contemplazione, il senso nascosto nelle contingenze del quotidiano.
Scarno e sostanziale, Il grande silenzio di Philip Gröning è un prezioso regalo, un tesoro catturato da condividere. È un film che si deposita in qualche anfratto dell’occhio in comunicazione con la coscienza, una porta su una dimensione altra, uno spazio quasi sacrale che induce a speculazioni esistenziali. Da tempo non pensavo ad un’opera cinematografica in questi termini, forse, addirittura, da quando alle lezioni di cinema scorrevano in aula i fotogrammi di grandi maestri come Kurosawa o Bresson.


NUOVI MODELLI

Nell'ultimo periodo mi capita spesso di trovare spunti di riflessione sulla figura della donna contemporanea. Una donna nuova, meno cieca e passiva, più sofferente ma anche più emancipata e consapevole. Mi conforta un po', c'è bisogno di modelli più vicini ai cambiamenti che stiamo vivendo.

Uno di questi spunti in chiave comica l’ho trovato ad esempio nello spettacolo “5xUNA” di Enrico Luttman per la regia di Marco Casazza, in scena a Trieste nell’ambito della rassegna Play.01. Se vi interessa trovate la recensione sul sito del Teatro Rossetti:

Recensione di 5xUNA

CONOSCETE AEGEE?

È un'organizzazione studentesca di cui ho fatto parte attivamente per anni, ormai non partecipo da un bel po' ma continuo a simpatizzare...
Le attività sono organizzate da studenti di tutta Europa, ne trovate anche di ludico vacanziere a low budget. Ci sono varie sedi locali, se siete interessati controllate quella a voi più vicina, trovate tutte le informazioni sul sito europeo AEGEE.

MOJ KRAŠ- IL MIO CARSO, di SCIPIO SLATAPER

Trieste 31/03/06 Teatro Stabile Sloveno Kulturni Dom

Il mio Carso, allestimento teatrale in lingua slovena del romanzo autobiografico di Scipio Slataper, è il percorso di un’anima che cerca di ancorarsi ad un paesaggio familiare per reinterpretare le tappe della propria breve esistenza e riscoprire la propria identità. È una ricerca personale che ha radici collettive, che nasce da uno smarrimento storico e culturale proprio di un’epoca e di un territorio di frontiera. Incerto su come vivere la sua triestinità, nella quale confluiscono nei primi anni del ‘900 tre diverse appartenenze, Slataper dichiara infine la sua italianità. La sua non è però una radicale presa di posizione quanto piuttosto un’intima confessione “Vorrei ingannarvi, ma non mi credereste”. Lo scrittore non rinnega la componente slovena dichiarata dal suo stesso cognome ma al contrario la esalta, promuove con coraggio una libera convivenza ed affronta con incredibile modernità problematiche tutt’ora attuali.

Il testo messo in scena al Kulturni dom di Trieste è frutto della collaborazione di Marko Kravas, Sergej Verc e Marko Sosic che hanno rispettivamente realizzato traduzione, adattamento teatrale e regia. La resa è intelligente e poetica, l’accurato lavoro sinergico rende giustizia a Slataper e riesce a toccare tutti i temi a lui cari senza superficialità.

Lo spettacolo evoca suggestioni che vengono dal profondo ed avvolgono lo spettatore in un’artificiale nebbia carsica, lo catturano in una dimensione onirica ed evocativa. Il linguaggio è metaforico, espressionista, costellato di frammenti lirici, contaminato dall’alternanza di registro aulico e dialetto triestino.

Il giovane Primoz Forte, unico attore in scena, dà voce ai pensieri dello scrittore triestino ed offre un corpo in continuo movimento che diventa potente strumento espressivo: ansima di paura, parla d’amore tendendosi con energia vitale, si protrae in un’interminabile tensione muscolare per poi afflosciarsi all’improvviso, cade, si rialza, ricade, ha bisogno di oscillare nell’aria con leggerezza mentre ci parla di fardelli pesanti come la colpa, la malattia, la perdita, la morte.

La scenografia è uno stilizzato paesaggio dell’anima in continua metamorfosi: genera fuoco di luce che arde dal basso ed acqua che piove dall’alto, così come piovono improvvisi nefasti tonfi sonori ed irrompe l’ululato del vento, simile ad un urlo interiore e non troppo lontano dal rombo della guerra che verrà. Poi torna lo scroscio dell’acqua, elemento ricorrente e mutevole: l’acqua marina salata in cui il protagonista si lava, l’acqua della pioggia, l’acqua dell’abisso che non deve far paura, l’acqua purificatrice e salvifica, l’acqua del porto salpata da navi che vengono da lontano e portano spezie d’Oriente. Dall’acqua riemerge quel senso di appartenenza ad una città senza razza, madre di nostalgie e “ricordi che non troveremo nostri in nessun altro posto”, che ha dato i natali a tanta irrequietudine. Slataper considera con tormento ma anche con desiderio la possibilità di “scendere a Trieste”, una discesa agli umani inferi di Cittavecchia, forse perché, come Saba, sentiva in compagnia degli umili il suo pensiero farsi più puro dove più turpe era la via.

Alla città borghese e carnale si contrappone il suo Carso, romanticamente trasfigurato, portatore di valori sani e naturali, luogo di rifugio, spazio interiore di solitudine e riflessione, coi suoi boschi popolati da voci che rassicurano e torturano, che evocano assenze e consolano. La consolazione di Slataper è la speranza stessa, è il suo desiderio di esistere, di resistere, è la sua volontà di credere nella vita. L’opera teatrale sfrutta tutti i suoi mezzi per rendere il pubblico intensamente partecipe di questo singolare percorso esistenziale intriso di forza e quando lo spettacolo finisce la suggestione resta.

di Cristina Favento

IL VALORE DELLA CONOSCENZA STORICA

La consapevolezza del passato, incluso quello più recente, credo sia un valore importante per comprendere il presente ed essere pronti ad interpretare, con cognizione di causa, gli avvenimenti futuri. Purtroppo, confesso di essere la prima a predicare bene e razzolare male ma non è mai troppo tardi per rimediare…
Ho scoperto, alcuni giorni fa, l’esistenza di un Festival dedicato alla Storia, quest’anno la seconda edizione ha registrato 20 mila presenze, che si svolge in maggio a Gorizia e si chiama appunto La storia in testa. L’iniziativa prevede una serie di conferenze-dibattito a tema, protagonisti della ricerca storica italiana ed internazionale si confrontano apertamente con il pubblico, alternate a laboratori per bambini; occasioni d’incontro per istituti di ricerca, case editrici e visitatori; escursioni musicali, cinematografiche e teatrali. È un’originale proposta culturale, tra storiografia ed intrattenimento, in grado di coinvolgere tutti, non solo gli addetti ai lavori.
Per la prossima edizione bisognerà attendere la primavera 2007 ma nel frattempo se, come me, avete qualcosa da imparare e vi interessa saperne di più, potete consultare il sito:
www.lastoriaintesta.com

PSICOPARTY, di e con ANTONIO ALBANESE

Trieste 03/03/06 Teatro Cristallo

Ancora una volta diretto da Giampiero Solari, a cinque anni dal successo di “Giù al nord”, torna a calcare le scene teatrali Antonio Albanese. Prende il nome di Psicoparty la sua istrionica interpretazione di personaggi che mettono in piazza i propri timori e cercano di esorcizzarli. I testi di Albanese e Michele Serra sono incisivi e brillanti, la regia utilizza in maniera intelligente e consapevole i propri mezzi ed il risultato convince, diverte, coinvolge. Attraverso una sagace osservazione di piccole psicosi in qualche modo comuni a tutti, lo spettacolo mette in scena gli spettatori stessi, non solo metaforicamente ma addirittura fisicamente attraverso lo specchio che riflette sul palco le persone sedute nelle prime file durante una scena chiave nella rappresentazione. Si tratta dell’ingresso in scena del Ministro della Paura, “La paura è un ingrediente formidabile del potere, una società senza paura è una società senza fondamento” sentenzia questa grottesca autorità mascherata che si muove a scatti e regola il livello di paura da somministrare alle persone grazie ad un dispositivo a pulsanti.


Nella caleidoscopica parata teatrale i personaggi sono efficacemente caratterizzati da diverse espressioni dialettali e tratti mimici peculiari. Albanese riesce a stupire, a trasformarsi di volta in volta riconfermando un talento comico-artistico già ampiamente riconosciuto. Assieme alle nuove comparse, ritroviamo sul palco anche vecchie conoscenze già note al grande pubblico: il sognatore Epifanio, L’industriale Perego ed il politico corrotto Cetto La Qualunque. Il filo conduttore che ci accompagna nella performance sono le diverse paure della società contemporanea impersonate dai personaggi albanesiani alle prese con la paura del terrorismo, della colonizzazione cinese, della noia o addirittura della felicità.
Le moderne fobie del quotidiano non sono però l’unico spunto di riflessione offertoci dalla messa in scena. Nel prologo compare un Albanese burattino danzante, contrapposto all’immagine proiettata alle sue spalle di un alter ego incravattato che recita slogan mediatici con aria persuasiva. “Siamo sereni” ripete pomposamente l’immateriale faccione parlante “Stiamo bene in questo gran bel mondo e in questa gran bella Italia”. Potrebbe addirittura sembrare convincente se il ritornello non risultasse sempre più ossessivo e distorto, fino ad essere smentito da ciò che sul palco succede davvero. Più volte nel corso dello spettacolo si riprende questo gioco straniante che vorrebbe farsescamente imporre l’artificiale sul reale. Il personaggio si sdoppia, si ricompone, conversa con se stesso e con il pubblico in cerca di conferme e mentre ci fa ridere, ci fa anche riflettere e a tratti quasi ci commuove.
Infine la chiusura del sipario si avvicina ed Albanese si umanizza, rifiuta le finzioni e abbandona iperboliche caratterizzazioni mimico-linguistiche per parlarci da vicino, semplicemente. Per dirci che nonostante le forzature, le inutili complicazioni, le paure, che nonostante tutto insomma, possiamo ancora stare bene se non dimentichiamo le piccole cose che ci rendono felici, come riuscire a dire spontaneamente “Ti amo” o andare a pescare.
di Cristina Favento

14 luglio 2006

TRASLOCO

Caro lettori di passaggio,
sto traslocando il mio blog da un'altro spazio (se volete dare un'occhiata all'altro cliccate qui, in ogni caso un po' per volta traslocherò anche i vecchi interventi). Fa uno strano effetto, è davvero un po' come cambiar casa, con la curiosità di scoprire il nuovo quartiere ed i nuovi vicini.
Uno dei motivi per cui ho deciso di cambiare spazio è la ricerca di dialogo e movimento. Ora che un po' mi sono allenata a gestiere lo strumento, spero qui di incontrare più gente che abbia voglia di intervenire. Mi auguro sia un po' come spostarsi dalla periferia di una cittadina di campagna al centro pulsante di una metropoli cosmopolita...
sta a voi.
un bacio
cris

04 luglio 2006

LA MIA PRIMA TRAVIATA


Qualche sera fa sono stata a “vedere” a Trieste, proprio nel teatro che lo celebra, una delle più popolari opere di Giuseppe Verdi, dai più considerata l’opera delle opere: La Traviata. Interpretata questa volta da Inva Mula e da Massimo Giordano, per la regia di Massimo Ranieri, maestro concertatore Daniele Oren. Nonostante si trattasse dell’opera che conosco meglio, è stato per me il primo incontro “diretto” ed è difficile scindere impressioni oggettive da coinvolgimenti emotivi. 
Senza entrare quindi nei dettagli, posso dire semplicemente che questa Traviata mi ha appassionata, tanto da farmi stare tutto il tempo in piedi pur di vedere e sentire meglio (il teatro era gremito di gente e, essendoci mossi troppo tardi per acquistare i biglietti, i posti lasciavano a desiderare). Mi hanno coinvolta soprattutto l’interpretazione di lei e l’intensità dell’esecuzione musicale: una tensione costante, una vibrazione che risonava interna. È stata una serata evocativa, con un pizzico di magia. 
Tra i momenti più belli è arrivato tragico e indimenticabile l’Amami Alfredo. Gli applausi a fine rappresentazione non finivano più. Emozione.

Libiam ne’lieti calici
Che la bellezza infiora,
E la fuggevol ora s’inebri a voluttà.
Libiam ne’dolci fremiti
Che suscita l’amore,
Poiché quell’occhio al core
Onnipotente va.
Libiamo, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.


[dal libretto di Francesco Maria Piave, Atto I, Scena II]