31 agosto 2006

OMAGGIO A DYLAN THOMAS

Questa poesia si apprezza nei momenti difficili, è un talismano, un ritornello che allevia, una consolazione...

Di più non voglio dire, se non che considero Dylan Thomas un grande poeta. Proprio per questo metto solo la prima strofa della poesia perchè al momento non ho una traduzione valida del resto,
Cris

And the death shall have no dominion.
dead men naked they shall be one
with the man in the wind and the west moon;
when their bones are picked clean and the clean bones gone,
they shall have stars at elbow and foot;
thought they go mad they shall be sane,
thought they sink trought the sea they shall rise again;
thought the lovers be lost love shall not;
and the death shall have no dominion.

E la morte non avrà più dominio.
i morti nudi saranno una cosa sola
con l'uomo nel vento e la luna d'occidente;
quando la loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite svanite,
ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
nonostante impazziscano saranno sani di mente,
nonostante sprofondino in mare risaliranno in superficie,
nonostante gli amanti si perdano l'amore sarà salvo;
e la morte non avrà più dominio.


Dylan Thomas

16 agosto 2006

FESTIVAL DEI FESTIVAL

Dal 7 agosto sino al 3 settembre è in corso all’Ariston di Trieste il “Festival dei Festival”, organizzato sinergicamente dalle realtà cinematografiche cittadine (tra cui Cappella Underground, Maremetraggio, Alpe Adria Cinema, I mille occhi; Bonawentura, Filmakers, ecc..) per impedire che una storica sala cinematografica si trasformi in una sala a luci rosse.
Un appello a sostegno del cinema d’essay e, allo stesso tempo, una seconda possibilità per rivedere i grandi film della stagione assieme ad alcune rarità difficilmente reperibili.

Tra le prossime pellicole in programma alle 21.15 all’Arena Ariston:

LA SCHIVATA di Abdellatif Kechiche Mercoledì 16 agosto

5 DOCUMENTARI di KRZYSTOF KIESLOWSKI Giovedì 17 agosto

Il programma completo è consultabile dal sito del Teatro Miela:
www.miela.it

11 agosto 2006

ANTONIO DAS MORTES (O Dragao da Maldade Contra o Santo Guerriero)

Regia: Glauber Rocha
Soggetto: Glauber Rocha
Sceneggiatura: Glauber Rocha
Fotografia: Ricardo Stein
Montaggio: Glauber Rocha
Scenografia: Glauber Rocha
Costumi: Glauber Rocha, Paulo Lima, Paulo Gil Soares
Musiche: Marlos Nobre, Walter Queiros
Origine: Brasile 1969
Produzione: Mapa Filmes
Distribuzione: Mapa Filmes
Durata: 95’

Premi:
Festival di Cannes (1969): miglior regia (Glauber Rocha)

Interpreti:
Mauricio do Valle (Antonio das Mortes), Odete Lara (Laura), Othon Bastos (l’insegnante), Hugo Carvana (il capo della polizia), Jofre Soares (il colonnello), Lorival Pariz (Coirana), Rosa Maria Penna (Santa Barbara), e la gente di Milagres (Bahia - Brazil)

La fame dell’ispanoamericano non è solo un sintomo allarmante di povertà sociale, ma l’essenza stessa della società. Così, la nostra cultura la possiamo definire come una cultura della fame. In questo consiste l’originalità del cinema novo in relazione al cinema mondiale. La nostra originalità è la nostra miseria, sentita ma non condivisa. Ciò nonostante, noi la comprendiamo: sappiamo che la sua eliminazione non dipende da programmi tecnicamente elaborati, ma dalla forza stessa della fame che, minando le strutture, le superi qualitativamente. La più autentica manifestazione della fame è la violenza”.

Così scrisse Glauber Rocha (1939-1981) su quelle pagine che costituiscono il manifesto del cinema novo brasiliano, L’estetica della violenza (Eztétyca da fome, 1965).

Emerso nel clima riformista della presidenza di Joao Goulart (1961-1964), questo movimento cinematografico fu l’espressione di un intreccio di fermenti culturali: il processo venne acceso da una generazione di cineasti provenienti, come Rocha (la personalità di punta), dal giornalismo e da varie esperienze di critica cinematografica. L’intenzione era quella di opporsi in maniera decisa al modello sociale ma anche culturale americano (a quella dittatura dell’immaginario, lussuosa e piacente, d’importazione hollywoodiana), e di sondare gli aspetti della sofferenza di una nazione che guardava esclusivamente alla realtà della metropoli (in particolare Rio de Janeiro), vivendo come diffuso un benessere invece elitario. Violenza non fine a sé stessa quindi, ma intesa come più alta manifestazione culturale della fame, come puro momento di affermazione della propria esistenza. Cinema politico, di vocazione sovversiva, capace di assimilare i discorsi estetici del neorealismo italiano e della Nouvelle Vague, il suo motto era “un’idea in testa e una cinepresa in mano”.

Tuttavia il movimento non riuscì nel suo intento principale: mentre un immagine inedita e sconcertante del Brasile si diffondeva nel mondo, infatti, nel paese d’origine nessun nuovo pubblico si formò e fu in grado di sostituire quegli spettatori irrimediabilmente assuefatti al cinema made in USA.
Il cinema novo restò confinato all’interno di una ristretta categoria intellettuale. La sua rapida parabola storica fu troncata dal colpo di stato militare del 1964. In breve tempo Rocha si ritrovò a girare all’estero i suoi film, mentre in patria prese vita un nuovo cinema di opposizione, il Cinema Marginal. Tutto questo non prima che il regista realizzasse il suo quarto lungometraggio (il primo a colori): Antonio das Mortes, premiato a Cannes nel 1969.

In un villaggio del sertao, la zona desertica povera ed esplosiva del nord-est brasiliano, una banda di contadini affamati si ribella al padrone. Questi chiama un killer di professione per soffocare la rivolta, Antonio das Mortes (già protagonista in Il dio nero e il diavolo biondo, 1964), ma l’uomo, dopo aver ferito in un duello il capo dei rivoltosi, prende coscienza della realtà e si schiera dalla parte dei contadini. È il primo atto di una vicenda che racconterà la strage dei ricchi e dei loro servi e in cui avranno un ruolo importante anche le figure simboliche di un uomo di colore, un maestro e una “santa”. Con l’estro di un cantastorie, Rocha firma una rappresentazione densa di contenuti, suggestioni, allegorie: certamente cinema politico e sociale, ma anche cinema capace di riassumere in sé un’infinità di componenti spettacolari. Il folclore, la musica, i colori, la tradizione del western e quella del teatro si mescolano alla religione e alla mitologia. E all’anima di un paese.

Il 12 febbraio del 1970 sul Corriere della Sera Giovanni Grazzini scriveva: “il film di Rocha lascia un segno profondo negli spettatori sensibili ai toni violenti e ai ritmi deliranti. Alcuni possono lamentarne l’impianto melodrammatico, altri il sublime estetismo, altri ancora l’isteria figurativa. A nessuno però, che abbia il senso dello spettacolo, può sfuggire il fascino di un opera che, saldamente radicata nella miserabile grandezza della condizione latino-americana, esprime fuori dei consueti schemi narrativi, con uno stile tanto elaborato nella sua apparente spontaneità, le drammatiche convulsioni di un’umanità in cui la fame, i massacri, i secolari soprusi, alimentano un’epica speranza di redenzione”.

Manuel Paolino

05 agosto 2006

LA DONNA SERPENTE di CARLO GOZZI

Fiabesca ironia, grande maestria artistica ed un monito sottile caratterizzano il riadattamento di Giuseppe Emiliani de “La donna serpente”, tratta dal testo del 1762 di Carlo Gozzi e rappresentata mercoledì scorso a Trieste al Teatro Romano Festival. Lo spettacolo, nato da uno studio per il Festival Internazionale di Teatro della Biennale di Venezia, ripropone tutta la raffinata bellezza dell’originaria opera tragicomica.

La bella fata Cherestanì rinuncia all’immortalità per amore del principe Farruscad che, offuscato da ingannevoli apparenze, dubita della sua amata e maledicendola la trasforma in serpente. Si affastellano nella storia sottili intrighi, magici sortilegi, guerre sanguinose e prove iniziatiche.
Alle drammatiche vicende dei nobili protagonisti, rappresentate con varie tecniche di animazione riconducibili al più creativo teatro di figura, s’intrecciano le comparse di Pantalone, Brighella e Truffaldino, comici e venezianissimi interpreti della più classica commedia dell’arte.

Pur rispettando l’estro compositivo di Gozzi, Emiliani aggiunge alla già complessa struttura narrativa una dimensione altra. “Guai a quei tempi che hanno bisogno di fiabe per raccontare la verità” ammonisce nel prologo per bocca del capocomico che, con polvere bianca su un’area illuminata, circoscrive in scena un palcoscenico dentro al palcoscenico. Un escamotage linguistico che consente interventi metateatrali e giochi di maschere senza maschera. Agli attori, svincolati dalle regole tradizionali, è consentito dismettere e riappropriarsi a piacimento del proprio personaggio sotto gli occhi del pubblico.

“La donna serpente è tutto un trionfo di mutamenti scenici a vista, di alternanze improvvise tra luci e tenebre” dichiara il regista “per Gozzi la rappresentazione è illusione, e solo nell’illusione teatrale possono vivere, allegorizzate, le forti passioni, solo nella parvenza di un incantamento costruito artificialmente è possibile prendere le distanze da situazioni quotidiane”.

Lo spettacolo, sulle musiche originali di Uri Caine, è dunque una danza di alternanze tra maschere e figure, popolano e aristocratico, comico e drammatico, finzione e rappresentazione. È una magica sarabanda espressiva di artifici e raffinate invenzioni, come le mani che irrompono da porte per svelare i meccanismi del suono.

La metamorfosi, tema preannunciato dal titolo stesso, grazie agli esotici costumi di Carla Teti ed alle scene di Graziano Gregari, da diegetica diventa fascinosamente estetica. Come per alchemico incanto, nonché per qualità e consumata esperienza del cast, lo svelamento degli artifici scenici, anziché intaccare la poesia teatrale, la arricchisce in equilibrio ed eleganza.

Cristina Favento,
recensione pubblicata su “Il Piccolo” di venerdì 4 agosto 2006

04 agosto 2006

FILI ROSSI A PONTEROSSO


La rassegna “SPECCHIO D’ACQUA 2” che ogni giovedì dall’inizio di luglio ha portato svariate presenze artistiche della contemporaneità a confronto con le placide acque del Canale di Ponterosso, si è conclusa giovedì 3 agosto con l’installazione-performance dal titolo “IL FILO A PONTEROSSO.

Un filo rosso (in realtà una corda robusta, date le dimensioni dello “specchio d’acqua”) allaccia a più mandate le due rive del canale; è metafora aperta a svariati significati: contatto, ponte, intreccio, attraversamento e avvicinamento, prospettiva illusoria; suggerisce - basti pensare al mitico filo di Arianna - un percorso che unisce, che si fa trade d’union di contenuti e di obiettivi da raggiungere.
E’ ipotizzabile un contatto tra i dieci protagonisti del progetto, la possibilità di scambio, di reciproco arricchimento, ma il concetto può estendersi a scambi più dilatati e diversificati, sempre costruttivi.

Sulla trama del filo rosso, che presenta il Canale in una luce nuova, si esibisce un funambolo, presenza nel contempo simbolica e spettacolare. Un uomo traccia un suo percorso, semplice e lineare, ma in condizioni difficili, sulla trama rossa sottostante già intessuta, procedendo, in equilibrio precario, sulle incertezze, sulle contraddizioni che segnano ogni strada, nell’intento comunque di raggiungere, tra gli ostacoli che la vita quotidianamente i regala, la meta prefissata.

Tutto il ciclo è stato promosso dal GRUPPO 78 I.C.A., a cura di Maria Campitelli, con l’intento di animare in modo alternativo uno dei luoghi urbani più suggestivi, suggerendo con video, performances, installazioni, nuove possibili letture di un assetto urbanistico costruito dalla storia. L’iniziativa è sostenuta dal Comune di Trieste Assessorato alla Cultura, dalla Fondazione CRTrieste e dalla Assicurazioni GENERALI.

Il filo a Ponterosso, è un progetto collettivo, frutto dell’elaborato accordo di dieci artisti del GRUPPO 78 (Giuliana Balbi, Roberta Cianciala, Pierpaolo Ciana, Myriam del Bianco, Fabiola Faidiga, Daniela Frausin, Cristina Lombardo, Luigi Merola, Massimo Premuda, Barbara Stefani) che, per una volta, hanno accantonato i propri linguaggi ed i propri obbiettivi peculiari, per fondersi in un’unica voce.
Si è esibito in performance live Andrea Loreni, funambolo formatosi alla scuola di Circo Contemporaneo di Torino. Annovera al suo attivo numerose esibizioni, tra cui il recente attraversamento del fiume Po.
Una sonorizzazione appropriata, curata da Vincenzo Russo, composta da diversi brani musicali, ha accompagnato il percorso funambolico, accentuandone la tensione emotiva.

IL FUNAMBOLO


In riferimento all'articolo "Fili rossi a ponterosso"

SPAZI ALTRI

Cari amici di passaggio,
oltre ai miei consueti interventi, ho deciso di aprire le porte di questo spazio a chi condivide con me le stesse passioni ed ha qualcosa da dire...

Prossimamente troverete degli interventi esterni di Manuel Paolino che sta terminando un master di "Scritture per il Cinema / Sceneggiatura e Critica" al DAMS Cinema di Gorizia in collaborazione con l'Associazione di cultura cinematografica Sergio Amidei e Transmedia S.p.a.
Le sue schede critiche mi sono sembrate semplici, essenziali ed interessanti. Un'ottima occasione per imparare qualcosa in più su dei film non contemporanei. Spero condividerete questo parere.

Se altri tra voi volessero partecipare ativamente, saranno i benvenuti.

Cris

PUPPETFESTIVAL- dal 21 agosto al 2 settembre

Anche quest’anno il PuppetFestival, giunto alla sua 15esima edizione, promette d’incantare bambini ed adulti con 44 spettacoli, in programma dal 21 agosto al 2 settembre, proposti dai più affermati rappresentanti italiani ed europei del Teatro di Figura.
Da Gorizia a Romans d’Isonzo, attraverso i più svariati generi e tecniche, la rassegna porterà in scena burattini e marionette, pupazzi e Contastorie, passando per le tradizioni veneta e partenopea, per i canovacci emiliani, per favole e leggende di derivazione popolare.
Tra gli ospiti più attesi Sergio Bini, in arte Bustric (lo ricordiamo nella sua parentesi cinematografica a fianco di Benigni ne “La vita è bella”), che il 2 settembre a Gorizia chiuderà il Festival con il suo “Pierino e il lupo”, delicata e fantasiosa rilettura di un classico di Prokofiev attraverso uno speciale allestimento per azioni mimiche, teatro visivo e pantomima.
Debutterà in prima nazionale anche la nuova produzione del Teatro Stabile Sloveno di Trieste: “Olga e l’Arcobaleno”, allestimento bilingue di Marco Sosič.

Sostenuta da Regione, Provincia, Comuni e Cassa di Risparmio di Gorizia, l’intera manifestazione è ormai consolidata a livello regionale ed accresce di anno in anno il proprio prestigio nazionale ed internazionale. Tangram Teatro, Minimax, Teatrino della Marignana, Teatro del Pavaglione, Gaspare Nasuto, Marionette Grilli, Dante Cigarini, Divadlo Piki (Slovacchia), Teatro Fabularia (Austria) e Vitì Marčika (Rep. Ceca) sono alcuni tra gli altri nomi di compagnie ed artisti previsti in cartellone.
Nella prima settimana gli spettacoli animeranno alcuni inediti scenari: dalle spiagge e calli di Grado, che diventerà dal 21 al 27 agosto una vera e propria città-festival, sino a Romans d’Isonzo ed al nuovo percorso del Collio isontino, un itinerario di valorizzazione del territorio organizzato in collaborazione con le cantine del Movimento Turismo del Vino FVG.

Tratto da un canovaccio dell’800 e presentato da Romano Danielli, uno dei più illustri interpreti della tradizione burattinesca bolognese, “Ginevra degli Almieri” aprirà la seconda parte del Festival che dal 28 agosto al 2 settembre si svolgerà a Gorizia, sede storica della manifestazione e dell’ente organizzatore CTA, Centro Regionale di Teatro di Animazione. “Lo spettacolo è interessante dal punto di vista sia storico, sia filologico” spiega Roberto Piaggio, direttore artistico del Puppet assieme ad Antonella Caruzzi, “è una proposta molto raffinata, così come lo è il Teatro di Figura dedicato agli adulti, un teatro cui si sono avvicinati grandi autori e tutte le avanguardie del ‘900”.

Proprio al pubblico adulto sarà dedicata la sezione Tendenze con la fase conclusiva del progetto “Beckett&Puppet”, rivisitazione inconsueta avviata dal CTA nella scorsa edizione in vista del centenario del grande drammaturgo, con due tappe ad ottobre: una ricca tre giorni teatrale a Gorizia dal 13 al 15 e un percorso video-cinematorgafico al Miela di Trieste il 16 e 17.

Cristina Favento, pubblicato su "Il Piccolo" del 01/08/2006