25 agosto 2008

PRIMA CHE BRUCI PARIGI

Finché c'è ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché c'è ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole, le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.

Nazim Hikmet

10 agosto 2008

LE RAGAZZE DI TRIESTE, DOCUMENTARIO - INTERVISTA A CHIARA BARBO E ANDREA MAGNANI

GRADO. A chiudere oggi Lagunamovies 2008 sarà la presentazione, in prima nazionale, del film documentario "Le ragazze di Trieste - Triestine girls negli USA”, ideato da Chiara Barbo e da lei girato assieme ad Andrea Magnani.
Il film, prodotto da Zeroquaranta in collaborazione con La Cappella Underground e proiettato nelle scorse settimane a New York, racconta di quel particolare fenomeno di emigrazione di “spose triestine” che si verificò negli anni Cinquanta e si ispira soprattutto al libro “Trieste a stelle e strisce. Vita quotidiana a Trieste con il Governo Militare alleato” scritto da Pietro Spirito. Sarà proprio il giornalista, stasera alle ore 21, a coordinare l’incontro sull’isola di Anfora, al largo della laguna di Grado, al quale parteciperanno i due registi Chiara Barbo e Andrea Magnani, assieme a Giorgio Berni, esperto di musica jazz e autore di varie pubblicazioni fra cui “Cinquant’anni di jazz a Trieste”, un volume dedicato alle atmosfere musicali della Trieste anni Cinquanta.
“Dopo tanti anni trascorsi a Roma ad occuparmi di sceneggiature e produzioni per progetti altrui” racconta l’autrice e critica cinematografica triestina “avevo proprio voglia di dedicarmi ad un lavoro tutto mio. La scelta del soggetto è stata naturale perché sono cresciuta ascoltando tantissimi racconti su queste ragazze bellissime – le più belle si diceva - che sono scappate al braccio di ufficiali e soldati americani, anche per inseguire il sogno di una vita migliore. Mi sono chiesta spesso chi erano queste ragazze, cosa sapevano dell’America, e di quell’uomo che avrebbero seguito dall’altra parte del mondo, cosa pensavano, cosa sognavano, e cos’hanno trovato una volta arrivate lì. Ero semplicemente curiosa, non tanto di conoscere la storia ufficiale - già scritta e ben raccontata in numerosi studi, saggi e libri - ma piuttosto le vicende personali. Volevo raccontare le loro storie, o meglio,farle raccontare a loro personalmente, usando una telecamera e qualche immagine trovata negli archivi. Così ho cominciato a cercare...”
Come ha fatto a rintracciarle?
Ho iniziato a documentarmi sul periodo leggendo molto e facendo ricerche attraverso internet. Negli articoli o interviste spesso venivano citati alcuni nomi che ho provato a rintracciare. Ma soprattutto ho sparso la voce chiedendo ad amici e conoscenti. Sapevo che erano emigrate circa 1300 ragazze e, statisticamente parlando, doveva pur esserci qualcuno a Trieste che aveva ancora dei contatti con alcune di loro. Infatti così è stato e, una volta rintracciate le prime triestinian girl, poi sono state loro stesse a darmi altri nomi.
Come sono stati gli incontri dal vivo?
Molto emozionanti. Assieme ad Andrea Magnani abbiamo viaggiato dalla California alla Serra Nevada per incontrare queste donne, tutte ormai oltre la settantina ma estremamente dinamiche e volitive, con alle spalle una vita intensa, che ancora parlano tutte il triestino e addirittura lo impongono ai propri mariti!
E che cosa avete scoperto?
Contrariamente a quanto s’immagina, la maggior parte delle triestine arrivate negli USA non ha trovato situazioni di agio e ricchezza. Sono finite invece in piccoli paesini sperduti, conservando una fortissima nostalgia per Trieste, il luogo della loro infanzia e giovinezza.
Come ha risposto il pubblico di New York alla proiezione del documentario?
Siamo rimasti sorpresi per la grande partecipazione di pubblico e i numerosi riscontri da parte della stampa locale. Forse perché si tratta pur sempre di racconti al femminile, legati al tema dell’immigrazione, che hanno un che di universale, e, allo stesso tempo, incuriosisce la particolarissima situazione che si era creata all’epoca a Trieste.
Di che cosa vi state occupando ora?
Attendiamo l’ok dal Ministero per la produzione del lungometraggio “La lunga corsa” e stiamo ultimando “Caffè Trieste”, prodotto assieme alla Cappella Underground, un altro documentario girato a San Francisco in un famosissimo locale che ha aperto nel ’56 e che fu luogo di ritrovo per gli esponenti della Beat Generation prima, e di pittori, poeti e intellettuali poi. Coppola, tanto per dirne uno, ha scritto lì il padrino. Il proprietario, Gianni Giotta, è un novantenne originario di Rovigno che una volta immigrato negli Usa iniziò facendo il lavavetri arrampicandosi sui grattacieli. Abbiamo voluto raccontare alcune delle storie che girano attorno a questo luogo storico.

di Cristina Favento, pubblicato su "Il Piccolo" di domenica 10 agosto 2008

"L'ultima pedalata di Bottecchia", intervista alla regista Gloria De Antoni

A due giorni dall’inizio ufficiale dei Giochi Olimpici di Pechino, Grado festeggia a suo modo lo sport in versione cinematografica e non. Dopo la diretta satellitare di lunedì scorso con Alex Bellini, intento ad attraversare l’oceano Pacifico a remi in solitaria, Lagunamovies prosegue stasera, alle 21 alla Diga, con una rarissima versione originale dell’”Olympia” di Leni Riefenstahl, conservata da oltre quarant’anni dal comune gradese. La proiezione della monumentale e controversa pellicola del 1936, dedicata alle Olimpiadi di Berlino, sarà introdotta dai giornalista Gianpaolo Carbonetto. Venerdì, invece, alla presenza di Francesco Moser e di Umberto Sarcinelli, i riflettori saranno puntati sull’”ultima pedalata” di Ottavio Bottecchia, documentario prodotto nel 2007 dalla Cineteca del Friuli e realizzato da Gloria De Antoni.
“Il progetto non nasce da una mia idea” racconta l’autrice “ma dalla volontà di commemorare gli ottant’anni dalla morte di questo eroe dello sport. Confesso di non essere una sportiva neanche per tifo e, prima di questo lavoro, per me Bottecchia erano soltanto le biciclette un po’ più serie che avevamo da bambini!”.
Come si è appassionata al personaggio?
Mi affascinava il fatto che fosse morto in circostanze misteriose, prima ancora di scoprire lo sportivo e l’uomo, il lato profondamente disperato del ciclista, cresciuto in una famiglia di emigranti, che vinse due volte il Tour de France: è una storia di povertà, di uno che non era nessuno e che aveva solo le sue gambe, con una forza pazzesca, anche di volontà. È un vero peccato non aver mai conosciuto Bottecchia, né qualcuno che lo avesse conosciuto da vicino. Se non a risolvere, volevo almeno provare a formulare una reale ipotesi di verità sulla sua morte, ascoltando, indagando, riflettendo, e leggendo i moltissimi libri che su di lui sono stati scritti. Anche se non svelo un colpevole, nel documentario traspare la mia idea.
È vero che sta lavorando ad un nuovo documentario “storico” sulle spiagge di Grado?
Non è ancora un lavoro compiuto quanto piuttosto un progetto, nato da un’idea di Daniela Volpe, per un collage documento basato su comuni filmini d’epoca girati in super8 a partire dagli anni ‘50 e ’60; un intreccio di storie per raccontare almeno una quarantina d’anni. E poi c’è in programma anche il mio quinto documentario: su “Senilità” di Svevo, e su Trieste.
Di che cosa si tratta esattamente?
Anche questo è un lavoro ancora da definire, ma già iniziato nel corso del Trieste Film Festival con una gentilissima collaborazione di Claudia Cardinale. L’attrice si è prestata a recitare se stessa mentre attraversa Piazza Unità, arrivando sino al Molo Audace: una sorta di particolare remake della prima scena di “Senilità”. Mi divertirebbe usare il più importante film girato a Trieste come una traccia, un tema conduttore da integrare, però, ad altri racconti e ad altri film fatti in città. Vorrei chiamare a testimoni non solo registi e attori ma anche persone comuni, per raccontare soprattutto i luoghi e gli anni del dopoguerra.

di Cristina Favento, articolo publicato su "Il Piccolo" di mercoledì 6 agosto 2008

INTERVISTA A FRANCESCO MOSER - GIOCHI OLIMPICI 2008 DI PECHINO, DOPING E ALTRE STORIE

Correva l’anno 1972 e non tutti ricorderanno che alla XX edizione dei Giochi Olimpici di Monaco – funestati dal tragico sequestro degli atleti israeliani che terminò in un massacro e passati alla storia per le incredibili prestazioni di Mark Spitz e la rocambolesca finale di basket tra Stati Uniti e Russia - partecipò anche un giovane talento emergente del ciclismo italiano di nome Francesco Moser. L’ex corridore ricorda ancora con rimpianto quell’unica sfortunata Olimpiade: “Sono arrivato al traguardo con una gomma bucata! Quando ho forato era troppo tardi per poterla cambiare e ho dovuto concludere la gara così, arrivando settimo anche se all’epoca ero il favorito”. Moser, ospite stasera di Lagunamovies assieme a Gloria De Antoni per parlare di Olimpiadi e del’”ultima pedalata” di Bottecchia (ore 21 alla Diga di Grado), è a tutt’oggi il corridore più vittorioso nella storia del ciclismo italiano.
“Nel ‘72 le Olimpiadi erano ancora riservate ai dilettanti: si partecipava una sola volta e poi si diventava professionisti”, racconta, “e personalmente le preferivo così. Oggi, invece, un ciclista professionista può parteciparvi nel corso della sua carriera anche due o tre volte, mentre le società dilettantistiche non hanno più un vero obiettivo prestigioso da raggiungere”.
Qual è il suo pronostico per Pechino? Concorda con chi punta su Paolo Bettini?
Direi di si. Possono far bene anche Rebellin e Nibali, ma Bellini resta l’uomo di punta. È tagliato per quel tipo di circuito e ha buone possibilità.
Che cosa ne pensa delle giovani generazioni di ciclisti?
Ciclisti affermati come Cunego, Di Luca o Simoni si possono già considerare la vecchia guardia. Di veri campioni giovani, e per giovani intendo poco più che ventenni, ancora non ne abbiamo. Nibali è andato bene al Tour e Napolitano va bene in volata, ma bisogna ancora vedere veramente come vanno. Al momento i tempi non sono ancora maturi.
Stasera si parlerà, invece, di un grande sportivo degli anni Venti, che cosa pensa di Bottecchia?
È stato uno che segnato la storia, un corridore che vinceva qualsiasi competizione ed è scomparso in condizioni poco chiare. Se avesse continuato, probabilmente avrebbe potuto fare di più. Sono figure che restano e nell’ambiente si nominano ancora. La gioventù magari ne sa poco, sono passate tre generazioni e non si riesce mai a tramandare tutto, restano le cose più importanti ma un po’ si dimentica.
Che è successo in queste tre generazioni?
Fino a prima della guerra c’era un ciclismo che potremmo definire “eroico”, poi, dopo la seconda guerra mondiale, inizia il cosiddetto ciclismo moderno, anche se in quegli anni la tecnologia era ancora in evoluzione. La vera era moderna inizia dal ’65 in poi, dopo la morte di Coppi.
Com’è cambiato il ciclismo?
È cambiato molto. Costa comunque fatica, ma sono cambiate soprattutto le condizioni di vita della gente. Allora correvano per mangiare, oggi corrono per dimagrire! È una differenza epocale: il 90 % dei ciclisti oggi corre per restare in forma. Una volta non serviva perché si andava a piedi, si facevano lavori manuali.
Lo sport agonistico, inoltre, è diventato molto tecnico e tecnologico, molto mentale anche. Uno forte una volta poteva sbagliare e vinceva lo stesso, oggi non si può sbagliare niente, tutto si decide nel finale, è tutto molto calcolato, non ci sono più le grandi fughe alle quali si assisteva prima.
Lei come ha vissuto questi cambiamenti?
Ho vissuto proprio il ciclismo a cavallo tra quello di oggi e quello di Coppi e Baldini; iniziava a farsi sentire l’influenza della modernità: molta tecnologia, cardiofrequenzimetro, modi molto controllati, ricerche sulla muscolatura, ricerche psicologiche, con innumerevoli applicazioni. Adesso, dopo vent’anni che ho smesso, è ancor peggio.
Chi ha conosciuto Moser dei grandi del passato?
Coppi no, è morto quando avevo nove anni. Ho conosciuto bene il fratello Aldo, ci ho corso anche contro. Adorni e Baldini li ho visti correre mentre ho conosciuto bene Bartali ma non l’ho mai visto gareggiare. Quando ha smesso avevo due anni, ma ricordo che anche dopo tutti lo volevano, tutti lo salutavano e lo trattavano con grande rispetto. Succede finché hai delle persone che ti hanno visto correre.
All’epoca la strenua competizione tra lei e Saronni appassionò e divise in due l’Italia, come la visse?
Era un bello scontro. C’erano sempre due gare: la corsa tra me e lui e la corsa di tutti gli altri.
Rispetto agli anni Ottanta, il rapporto tra medicina e sport è completamente cambiato, che cosa ne pensa dei recenti casi di doping?
Purtroppo sono comparse moltissime medicine che alterano il rendimento degli atleti, soprattutto negli sport di durata. Sul lungo percorso la differenza tra chi ne fa uso o meno si nota in maniera sensibile. Il problema è riuscire a mettere tutti nelle stesse condizioni, se si fa un controllo, tutti dovrebbero rispettare le stesse regole.
Di che tipo di intervento c’è bisogno?
Le punizioni severe già ci sono: due anni senza correre sono davvero tanti, per non parlare del danno all’immagine. Se un atleta commette questo tipo di errore non si torna indietro, lo sanno subito tutti, ed è un marchio indelebile che si porta dietro a vita. Il problema, però, è molto complesso. Ci sono anche medici che lavorano assieme ai corridori e che li consigliano, magari male, ma è sempre l’atleta che deve rispondere in prima persona.
Certo è difficile, ad esempio, pensare che una campionessa mondiale possa aver assunto delle sostanze illegali senza esserne consapevole. Chi raggiunge certi livelli dovrebbe sapere esattamente cosa sta facendo. In questo momento c’è una comprensibile delusione nel mondo sportivo e non solo, è un momento difficile anche a livello di sponsor. Questa crisi dovrebbe far pensare e responsabilizzare. Se ci sono delle regole, bisogna rispettarle, tanto più in un momento delicato come questo.
Un consiglio a chi intraprende oggi la sua professione?
Il ciclismo, e lo sport in generale, è una scelta di vita difficile, per farlo bisogna servirlo al cento per cento, dedicarsi totalmente e non pensare di poter fare le cose solo a metà.
Il suo ricordo ciclistico più caro?
Ci sarebbero troppe cose da ricordare che hanno lasciato il segno, però, quella che forse resta di più è il Giro d'Italia.
E la dinastia dei Moser? Ci riserverà qualche nuova sorpresa?
C’è mio nipote che alle gare arriva ma per il momento non vince mai. Corrono in due, a dire il vero, dei figli di Diego: Moreno e Leonardo. E poi c’è anche mio figlio Ignazio, ma sono ancora tutti molto giovani.

di Cristina Favento, pubblicata sul quotidiano "Il Piccolo" di venerdì 8 agosto 2008

ABITI TRADIZIONALI DELLE ISOLE AMANTANI.... ADDOSSO A ME...


Perù, Lago Titicaca, Isola Amantanì - Luglio 2008

06 agosto 2008

INTERVISTA AD ALEX BELLINI, INTENTO A REMARE IN SOLITARIA NEL MEZZO DEL PACIFICO DA 163 GIORNI

Un pubblico numeroso e divertito ha partecipato sabato sera all’apertura di Lagunamovies 2008, “Sulla rotta di Olympia”, in una Grado affollatissima dal consueto popolo di vacanzieri. Nello scenario suggestivo della Diga Nazario Sauro, dietro al comune, è stato allestito un cinema all’aperto che ha raccolto appassionati e occasionali passanti, attirati dalle peripezie di Ernest, “Il Mangiachilometri” immortalato nel 1925 da Karl Imerlsky. Accompagnata con verve dai musicisti dell’Orchestra Filmharmonie di Klagenfurt diretti da Erich Pichorner, che hanno eseguito una colonna sonora originale scritta apposta per l’occasione da Florian Reithner, la pellicola ha offerto agli spettatori un interessante ritratto dell’Europa dell’epoca, snodandosi da Firenze a Belgrado, da Trieste sino a Praga, dalle alture del Grossvenediger fino alle rive danubiane. Ieri sera, invece, il festival si è spostato all’isola di Anfora, per seguire l’incontro e le proiezioni dedicate alla celebrazione dei trent’anni di riforma Basaglia. La prossima occasione per provare la piacevole esperienza di navigazione in laguna sarà domenica 10 agosto in occasione dell’anteprima nazionale del film documentario di Chiara Barbo “Le ragazze di Trieste”. Oltre agli appuntamenti di mercoledì 6 agosto con l’“Olympia” di Leni Riefenstahl e di venerdì con Gloria De Antoni e Francesco Moser, sempre alle ore 21 alla Diga, molto attesa è la diretta di stasera con Alex Bellini, che da 163 giorni sta remando in solitaria per attraversare il Pacifico.



Come sta andando l’impresa?
Abbastanza bene, a parte nell’ultima settimana: ho trovato brutto tempo, pioggia e mare molto mosso. D’altra parte qui siamo nella stagione invernale.
Difficoltà?
Oltre agli ultimi problemi pratici col dissalatore e con l’energia elettrica, la difficoltà più grande è la consapevolezza di essere sempre in pericolo, in balia degli elementi. In questo stesso istante potrei affondare se arrivasse un’onda.
Come passa la sua giornata tipo?
Mi alzo alle 5 e mezza e, dopo una colazione molto rapida e abbondante, inizio a remare, remare e remare. Tra le 13 e le 14 mi preparo il pranzo e poi continuo finché c’è luce o finché il mare me lo permette, a volte fin quasi ad addormentarmi coi remi in mano. E poi mi ritiro in questo sgabuzzino delle scope dove dormo! È una quotidianità molto monotona. Ciò nonostante la vita a bordo riserva sempre situazioni nuove, che danno pepe alle giornate.
Che cosa le manca di più della sua vita quotidiana?
Le piccole comodità alle quali di solito nemmeno si fa tanto caso: un bagno ogni tanto, lavarsi i capelli con lo shampoo, una doccia, un letto con lenzuola che sanno di bucato, una dieta più varia, perché i liofilizzati mi escono dalle orecchie!
Che effetto le fa pensare al collegamento in diretta di questa sera con Lagunamovies?
Mi fa molto piacere, queste rare occasioni sono l’unico modo che ho per condividere la mia avventura. Mi trovo in una situazione di completo isolamento e risulta penalizzante tenersi tutto per sé senza neppure un compagno col quale condividere tutto ciò che vivo e vedo. La possibilità di arrivare alle orecchie delle persone, di stimolare la loro fantasia, mi dà molta forza e la possibilità di un confronto. Non conosco il 90% dei miei cosiddetti fan, però con loro sto condividendo un periodo della mia vita che non dimenticherò mai, sento attorno la loro voglia di ascoltare le emozioni che racconto. Così diventa un’avventura che non è più soltanto la mia.
Perché la decisione di imbarcarsi di nuovo?
Ci sono migliaia di perché. Ogni giorno c’è una ragione nuova per aver deciso di attraversare questo cielo. Sentivo per il mare un grandissimo trasporto, nonostante sia nato in Valtellina e non lo conoscessi: quando sono partito per l’Atlantico non avevo mai fatto neppure una crociera in barca a vela!
È stato come un salto nel buio, ma il viaggio si giustifica da sé, non ci sono per forza delle ragioni. Per me il viaggiare non è verso una meta ma introspettivo, verso se stessi. C’è chi lo fa dallo psicanalista e chi lo fa spostandosi.



di Cristina Favento, intervista pubblicata su "Il Piccolo" di lunedì 4 agosto 2008

Trovate dei video dell'aventura di Bellini su http://video.corriere.it/ e delle foto sul suo sito e sul sito del Corriere

04 agosto 2008

LAGUNAMOVIES CELEBRA A GRADO I TRENT'ANNI DELLA RIFORMA BASAGLIA - INTERVISTA A MASSIMO CIRRI

Originali percorsi alla scoperta del rapporto tra cinema e sport, ma non solo. “Sulle vie di Olympia”, la quinta edizione di Lagunamovies, dedicherà la serata di domenica 3 agosto a ripercorrere l’avventura di Franco Basaglia per festeggiare i trent’anni trascorsi dalla riforma. Concessi per l’occasione dalla cineteca del dipartimento di salute mentale di Trieste, saranno proiettati “X Day i grandi della scienza del Novecento: Franco Basaglia”, prodotto dalla Rai, “La contestazione musicale” ed il catartico video “Marco Cavallo” di Gerry Pozzar, presente all’incontro assieme a Beppe Dell’Acqua, direttore del dipartimento, al giornalista Toni Jop e a Massimo Cirri, conduttore radiofonico (Caterpillar, Radio2), psicologo e autore teatrale.
"Aspettatevi di rivivere alcuni frammenti di quel grande cambiamento culturale, umano e scientifico che c’è stato a Trieste a partire dagli anni ‘70, e che ha poi investito il mondo intero" ha annunciato Cirri "Cercheremo di rievocare, evitando le facili beatificazioni, con il nostro consueto approccio informale. Faremo parlare soprattutto Beppe, che questo percorso l’ha fatto ed è un grande narratore".
Che cosa significa la riforma Basaglia per chi, come lei, affronta quotidianamente il mondo del disagio mentale?

In estrema sintesi, a chi ti sta davanti è stata restituita la sua dignità di persona; oggi si parla di soggetto attivo, pur con tutto il suo diasagio. È un cambiamento irreversibile, sia per chi cura, sia per chi ne soffre. Ben diverso è prendersi cura di chi è senza diritti.

Lei è il curatore de “La Fabbrica del cambiamento”, una serie di iniziative organizzate qui a Trieste in occasione dei 30 anni della riforma Basaglia, quali sono i prossimi eventi in programma?
Stiamo lavorando assieme a Lella Costa e Paolo Fresu all’ideazione di un racconto teatrale per voce e tromba. Forse riusciremo ad inserire in cartellone una piccola anticipazione di Marco Paolini, impegnato da anni a raccogliere materiale su un progetto di sterminio nazista di persone con problemi mentali. Infine, Ascanio Celestini ripercorrerà la storia dei manicomi italiani con lo spettacolo teatrale “La pecora nera”. Per maggiori informazioni rimando al nostro sito http://www.lafabbricadelcambiamento.it/.




di Cristina Favento, pubblicato sul quotidiano "Il Piccolo" di sabato 3 agosto 2008

VOCI DALL'OCEANO PACIFICO, INTERVISTA AD ALEX BELLINI

Ieri alla dieci del mattino mi è arrivata una telefonata satellitare che da un qualche imprecisato punto del Pacifico mi portava la stanca voce di Alex Bellini, che ormai da 164 giorni su una piccola barchina sta remando in solitaria per attraversare l'oceano. È stata una telefonata umanamente intensa. Vi aggiornerò al più presto cercando di pubblicare sul blog l'intervista completa. Peccato non poter condividere anche l'emozione e la sofferenza nella voce che mi ha raccontato parte di questa epica impresa.
C.F.

01 agosto 2008

DEGLI UMILI IN COMPAGNIA, Intervista a Fabrizio Gatti a cura di Paolo Ghiotto Marin

Molto, molto bella questa approfondita intervista di Paolo Ghiotto Marin a Fabrizio Gatti che vi consiglio, nata da un'empatica chiacchierata a più puntate, ricca di contenuto e di umanità.
Buona lettura


"Fabrizio Gatti, editorialista dell’Espresso che deve la sua fama di giornalista d’inchiesta alla capacità di agire direttamente sul campo, mimetizzandosi con l’ambiente e tra le stesse persone che ci vivono, ha ricevuto recentemente il Premio Terzani 2008, uno dei riconoscimenti più prestigiosi per chi fa il mestiere del reporter. Un premio che gli è stato assegnato per il libro Bilal, il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi: l’incredibile testimonianza di un occidentale che, spacciandosi per medio orientale, ha percorso quel viaggio che è spesso normalità per gli immigrati clandestini che incrociamo con indifferenza lungo le vie delle nostre città. Dal Senegal alla Libia, passando per Mali e Niger, il deserto perde, via via, sfumature mitiche, per assorbire quelle più amare della violenza e di ingiustizie senza fine. Il centro di accoglienza di Lampedusa, i campi di pomodori nelle Puglie, il mercato della prostituzione e dei manovali assunti in nero, nel nord Italia. Il ritorno in Libia, per accompagnare gli espulsi dal nostro paese, lungo il viaggio di ritorno nel deserto. Tutto questo solo per fare del giornalismo e fornire servizio alla verità, in tutti i suoi aspetti. Una verità giornalistica ben lontana da qualsiasi luogo comune o dalla superficialità, ben patinata, dei linguaggi politici".