GRADO. A chiudere oggi Lagunamovies 2008 sarà la presentazione, in prima nazionale, del film documentario "Le ragazze di Trieste - Triestine girls negli USA”, ideato da Chiara Barbo e da lei girato assieme ad Andrea Magnani.
Il film, prodotto da Zeroquaranta in collaborazione con La Cappella Underground e proiettato nelle scorse settimane a New York, racconta di quel particolare fenomeno di emigrazione di “spose triestine” che si verificò negli anni Cinquanta e si ispira soprattutto al libro “Trieste a stelle e strisce. Vita quotidiana a Trieste con il Governo Militare alleato” scritto da Pietro Spirito. Sarà proprio il giornalista, stasera alle ore 21, a coordinare l’incontro sull’isola di Anfora, al largo della laguna di Grado, al quale parteciperanno i due registi Chiara Barbo e Andrea Magnani, assieme a Giorgio Berni, esperto di musica jazz e autore di varie pubblicazioni fra cui “Cinquant’anni di jazz a Trieste”, un volume dedicato alle atmosfere musicali della Trieste anni Cinquanta.
“Dopo tanti anni trascorsi a Roma ad occuparmi di sceneggiature e produzioni per progetti altrui” racconta l’autrice e critica cinematografica triestina “avevo proprio voglia di dedicarmi ad un lavoro tutto mio. La scelta del soggetto è stata naturale perché sono cresciuta ascoltando tantissimi racconti su queste ragazze bellissime – le più belle si diceva - che sono scappate al braccio di ufficiali e soldati americani, anche per inseguire il sogno di una vita migliore. Mi sono chiesta spesso chi erano queste ragazze, cosa sapevano dell’America, e di quell’uomo che avrebbero seguito dall’altra parte del mondo, cosa pensavano, cosa sognavano, e cos’hanno trovato una volta arrivate lì. Ero semplicemente curiosa, non tanto di conoscere la storia ufficiale - già scritta e ben raccontata in numerosi studi, saggi e libri - ma piuttosto le vicende personali. Volevo raccontare le loro storie, o meglio,farle raccontare a loro personalmente, usando una telecamera e qualche immagine trovata negli archivi. Così ho cominciato a cercare...”
Come ha fatto a rintracciarle?
Ho iniziato a documentarmi sul periodo leggendo molto e facendo ricerche attraverso internet. Negli articoli o interviste spesso venivano citati alcuni nomi che ho provato a rintracciare. Ma soprattutto ho sparso la voce chiedendo ad amici e conoscenti. Sapevo che erano emigrate circa 1300 ragazze e, statisticamente parlando, doveva pur esserci qualcuno a Trieste che aveva ancora dei contatti con alcune di loro. Infatti così è stato e, una volta rintracciate le prime triestinian girl, poi sono state loro stesse a darmi altri nomi.
Come sono stati gli incontri dal vivo?
Molto emozionanti. Assieme ad Andrea Magnani abbiamo viaggiato dalla California alla Serra Nevada per incontrare queste donne, tutte ormai oltre la settantina ma estremamente dinamiche e volitive, con alle spalle una vita intensa, che ancora parlano tutte il triestino e addirittura lo impongono ai propri mariti!
E che cosa avete scoperto?
Contrariamente a quanto s’immagina, la maggior parte delle triestine arrivate negli USA non ha trovato situazioni di agio e ricchezza. Sono finite invece in piccoli paesini sperduti, conservando una fortissima nostalgia per Trieste, il luogo della loro infanzia e giovinezza.
Come ha risposto il pubblico di New York alla proiezione del documentario?
Siamo rimasti sorpresi per la grande partecipazione di pubblico e i numerosi riscontri da parte della stampa locale. Forse perché si tratta pur sempre di racconti al femminile, legati al tema dell’immigrazione, che hanno un che di universale, e, allo stesso tempo, incuriosisce la particolarissima situazione che si era creata all’epoca a Trieste.
Di che cosa vi state occupando ora?
Attendiamo l’ok dal Ministero per la produzione del lungometraggio “La lunga corsa” e stiamo ultimando “Caffè Trieste”, prodotto assieme alla Cappella Underground, un altro documentario girato a San Francisco in un famosissimo locale che ha aperto nel ’56 e che fu luogo di ritrovo per gli esponenti della Beat Generation prima, e di pittori, poeti e intellettuali poi. Coppola, tanto per dirne uno, ha scritto lì il padrino. Il proprietario, Gianni Giotta, è un novantenne originario di Rovigno che una volta immigrato negli Usa iniziò facendo il lavavetri arrampicandosi sui grattacieli. Abbiamo voluto raccontare alcune delle storie che girano attorno a questo luogo storico.
Il film, prodotto da Zeroquaranta in collaborazione con La Cappella Underground e proiettato nelle scorse settimane a New York, racconta di quel particolare fenomeno di emigrazione di “spose triestine” che si verificò negli anni Cinquanta e si ispira soprattutto al libro “Trieste a stelle e strisce. Vita quotidiana a Trieste con il Governo Militare alleato” scritto da Pietro Spirito. Sarà proprio il giornalista, stasera alle ore 21, a coordinare l’incontro sull’isola di Anfora, al largo della laguna di Grado, al quale parteciperanno i due registi Chiara Barbo e Andrea Magnani, assieme a Giorgio Berni, esperto di musica jazz e autore di varie pubblicazioni fra cui “Cinquant’anni di jazz a Trieste”, un volume dedicato alle atmosfere musicali della Trieste anni Cinquanta.
“Dopo tanti anni trascorsi a Roma ad occuparmi di sceneggiature e produzioni per progetti altrui” racconta l’autrice e critica cinematografica triestina “avevo proprio voglia di dedicarmi ad un lavoro tutto mio. La scelta del soggetto è stata naturale perché sono cresciuta ascoltando tantissimi racconti su queste ragazze bellissime – le più belle si diceva - che sono scappate al braccio di ufficiali e soldati americani, anche per inseguire il sogno di una vita migliore. Mi sono chiesta spesso chi erano queste ragazze, cosa sapevano dell’America, e di quell’uomo che avrebbero seguito dall’altra parte del mondo, cosa pensavano, cosa sognavano, e cos’hanno trovato una volta arrivate lì. Ero semplicemente curiosa, non tanto di conoscere la storia ufficiale - già scritta e ben raccontata in numerosi studi, saggi e libri - ma piuttosto le vicende personali. Volevo raccontare le loro storie, o meglio,farle raccontare a loro personalmente, usando una telecamera e qualche immagine trovata negli archivi. Così ho cominciato a cercare...”
Come ha fatto a rintracciarle?
Ho iniziato a documentarmi sul periodo leggendo molto e facendo ricerche attraverso internet. Negli articoli o interviste spesso venivano citati alcuni nomi che ho provato a rintracciare. Ma soprattutto ho sparso la voce chiedendo ad amici e conoscenti. Sapevo che erano emigrate circa 1300 ragazze e, statisticamente parlando, doveva pur esserci qualcuno a Trieste che aveva ancora dei contatti con alcune di loro. Infatti così è stato e, una volta rintracciate le prime triestinian girl, poi sono state loro stesse a darmi altri nomi.
Come sono stati gli incontri dal vivo?
Molto emozionanti. Assieme ad Andrea Magnani abbiamo viaggiato dalla California alla Serra Nevada per incontrare queste donne, tutte ormai oltre la settantina ma estremamente dinamiche e volitive, con alle spalle una vita intensa, che ancora parlano tutte il triestino e addirittura lo impongono ai propri mariti!
E che cosa avete scoperto?
Contrariamente a quanto s’immagina, la maggior parte delle triestine arrivate negli USA non ha trovato situazioni di agio e ricchezza. Sono finite invece in piccoli paesini sperduti, conservando una fortissima nostalgia per Trieste, il luogo della loro infanzia e giovinezza.
Come ha risposto il pubblico di New York alla proiezione del documentario?
Siamo rimasti sorpresi per la grande partecipazione di pubblico e i numerosi riscontri da parte della stampa locale. Forse perché si tratta pur sempre di racconti al femminile, legati al tema dell’immigrazione, che hanno un che di universale, e, allo stesso tempo, incuriosisce la particolarissima situazione che si era creata all’epoca a Trieste.
Di che cosa vi state occupando ora?
Attendiamo l’ok dal Ministero per la produzione del lungometraggio “La lunga corsa” e stiamo ultimando “Caffè Trieste”, prodotto assieme alla Cappella Underground, un altro documentario girato a San Francisco in un famosissimo locale che ha aperto nel ’56 e che fu luogo di ritrovo per gli esponenti della Beat Generation prima, e di pittori, poeti e intellettuali poi. Coppola, tanto per dirne uno, ha scritto lì il padrino. Il proprietario, Gianni Giotta, è un novantenne originario di Rovigno che una volta immigrato negli Usa iniziò facendo il lavavetri arrampicandosi sui grattacieli. Abbiamo voluto raccontare alcune delle storie che girano attorno a questo luogo storico.
di Cristina Favento, pubblicato su "Il Piccolo" di domenica 10 agosto 2008
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