10 maggio 2009

ENZO MARI TRA ETICA E DESIGN

Nello sguardo di Enzo Mari, autorevole barbuto creatore di oggetti che hanno lasciato il segno negli albi d’oro del design italiano ed internazionale, si coglie un mondo.

Un mondo creativamente fecondo, ordinato per archetipi di riferimento, ricco di speculazioni; un mondo di continua incessante ricerca, fatto di consapevoli evoluzioni e cambiamenti necessari; un mondo che origina onestamente nuove soluzioni, che non si limita a forme vuote e non ci soffoca di ridondanti sovrapproduzioni; un mondo di comunicazione effettiva, basato sui cardini di alfabeti universali e di linguaggi condivisi; un mondo in cui lui ha deciso di credere a scapito di ogni legittima obiezione. Perché la sua filosofia è una fede da non mettere in discussione, è un modello di mondo che per più di cinquant’anni ha tenacemente cercato di trasmettere agli altri; è la proiezione di un mondo utopico cui tendere perché, indipendentemente dalla sua effettiva possibilità di realizzazione, resta comunque l’unico che valga la pena di realizzare: quello che si legge nei suoi occhi è un mondo etico.

Enzo Mari, (tra) etica e design
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di Cristina Favento, pubblicato su Fucine Mute

09 maggio 2009

NOSTALGIA DELLO SPAZIO - BRUCE CHATWIN


"Monotonia di situazioni e tediosa regolarità di impegni tessono una trama che produce fatica, disturbi, nevrosi, apatia, disgusto di sé, reazioni violente"
Bruce Chatwin

06 maggio 2009

MO YAN, L'UOMO CHE ALLEVAVA I GATTI

Una luna enorme, grondante di rosso, si innalzava a est del villaggio nel crepuscolo della pianura immensa. Le case, tinte del rosso lugubre della luna, sparivano dietro un velo sempre più spesso di nebbia e di fumo. Il sole era appena tramontato e una lunga nuvola purpurea aleggiava ancora all’orizzonte. Piccole stelle gracili tra il sole e la luna mandavano bagliori intermittenti. Il villaggio scivolava lentamente nel mistero, non un abbaiare, non un miagolio, né grida di anatre o di oche, solo il silenzio. La luna si levava, il sole tramontava. Un bambino sgusciò fuori da una porta fatta di ramaglie e in quel momento una stella si spense nel cielo. La sagoma del bambino, come l’ombra di uno spettro, galleggiò leggera nell’aria e ondeggiò sull’argine del fiume dietro al villaggio. Sotto l’argine, l’erba secca e le foglie ingiallite dei pioppi e dei salici sembravano ansimare. […]
Mo Yan, Il fiume inaridito

“L’uomo che allevava i gatti” è un libro sublime e violento allo stesso tempo. I racconti di Mo Yan, una volta scoperchiati e digeriti, si fanno leggere e rileggere ammalianti. Certi paragrafi assomigliano alle strofe di un lacerante canto popolare, a una di quelle nenie affascinanti e dolorose che risuonano nel profondo come echi di un sentire collettivo antico. Dal punto di vista stilistico, la sua prosa rasenta a tratti la perfezione di un felice verso poetico - grande merito va certamente riconosciuto alle splendide traduzioni di Daniele Turc Crisà, che ha scelto e lavorato a Il fiume inaridito, Il cane e l’altalena, Il tornado, La colpa, Musica popolare e al racconto che dà titolo al libro. L’eleganza della forma, però, quasi sempre cozza con la brutalità dei contenuti, tanto da lasciare il lettore in uno strano stato sospeso, attonito.
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di Cristina Favento

02 maggio 2009

QUANDO IL PUNK SI FONDE CON IL TAO, INTERVISTA AL REGISTA MARC CARO

Approdato al Science+Fiction in occasione di Vojages Fantastique – la rassegna dedicata al cinema francese – il regista Marc Carò ha preso parte ad alcune presentazioni e incontri con il pubblico presente a Trieste. Ha risposto alle curiose domande dei presenti, ci ha parlato un po’ della sua straordinaria carriera e del suo modo di vedere la vita e di fare cinema.

Disegnatore per riviste di fumetti e sperimentatore di grafica animata in 3D, Carò inizia il suo percorso cinematografico grazie all’incontro col regista Jean-Pierre Jeunet, assieme al quale gira Delicatessen e La città dei bambini perduti. La loro collaborazione inizia però già nel 1974, con la realizzazione di numerosi cortometraggi di animazione. Il primo lungometraggio a quattro mani arriva nel 1991, ed è la surreale e visionaria storia d'amore colma di bizzarie e di ironica creatività che porta appunto il nome di Delicatessen.
Nel 1995 Caro e Jeunet realizzano insieme anche La città dei bambini perduti, un viaggio dentro la fantasia sfrenata dei due autori, i quali sperimentano anche nuove tecniche di ripresa e di modifica elettronica dell'immagine. Il film, non propriamente compiuto per alcuni aspetti, è però interessante per il confluire di tanti elementi diversi, soprattutto di matrice fumettistica e fantascientifica, che danno vita ad un fertilissimo universo creativo, riconoscibile e molto originale. Entrambi i film sono opere che esplorano infinite intuizioni visive, profondamente ricche a livello visivo.

di Cristina Favento
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01 maggio 2009

TILT, intervista all'autrice CATERINA SERRA

Non vedere nessuno, è questa la cosa peggiore, non puoi sapere cosa vuol dire non vedere nessuno. Ti vengono in mente tutti quelli che avresti potuto incontrare quando ne avevi voglia, ma hai detto: Sono stanco, troppo affannato, non ho tempo. Ogni giorno mi viene in mente qualcuno che avrei voluto toccare, che avrei potuto annusare. Anche solo vedere, sai, solo vedere. Perché adesso non posso più

I protagonisti raccontati da Caterina Serra in Tilt, recentemente pubblicato nella collana "I coralli" di Einaudi, sono affetti da quella che è stata definita "l'allergia del secolo": una malattia immunotossica causata dall'inquinamento e dall'esposizione ai prodotti chimici di sintesi, che colpisce milioni di persone ma di cui non si parla; una malattia in cui tutti possiamo riconoscere il nostro presente, la nostra condizione di vita, la nostra personale intolleranza al mondo. La Mcs, Sensibilità chimica multipla, nella sua fase iniziale, viene anche definita Tilt - Toxicant induced loss of tolerance (perdita di tolleranza indotta da sostanze tossiche - a sottolineare il cosiddetto punto di non ritorno che il nostro organismo raggiunge.

Ogni storia inizia con una serie di divieti e racconta come si può vivere evitando il contatto con il mondo: niente profumi e deodoranti, niente roba appena lavata o nuova, niente saponi, creme, trucchi, niente plastica, niente farmaci, pochissimi alimenti, niente odori e sapori artificiali... Sono storie di solitudine e di invisibilità, di lontananza da tutto ciò che si ama. Eppure corre lungo ciascuna di queste pagine, in questo coro continuo di voci, la stessa creativa, ostinata, sorprendente capacità di inventare ogni giorno un modo nuovo di adattarsi all'esistenza. La stessa fierezza. Perché alla fine vivere è tutto ciò che conta: «Sono deodorata, decolorata, sprofumata, ripulita, struccata, degassata, svuotata, decontaminata, disintossicata... Malata, viva».

di Cristina Favento, leggi l'intervista su Fucine Mute