Trieste 03/03/06 Teatro Cristallo
Ancora una volta diretto da Giampiero Solari, a cinque anni dal successo di “Giù al nord”, torna a calcare le scene teatrali Antonio Albanese. Prende il nome di Psicoparty la sua istrionica interpretazione di personaggi che mettono in piazza i propri timori e cercano di esorcizzarli. I testi di Albanese e Michele Serra sono incisivi e brillanti, la regia utilizza in maniera intelligente e consapevole i propri mezzi ed il risultato convince, diverte, coinvolge. Attraverso una sagace osservazione di piccole psicosi in qualche modo comuni a tutti, lo spettacolo mette in scena gli spettatori stessi, non solo metaforicamente ma addirittura fisicamente attraverso lo specchio che riflette sul palco le persone sedute nelle prime file durante una scena chiave nella rappresentazione. Si tratta dell’ingresso in scena del Ministro della Paura, “La paura è un ingrediente formidabile del potere, una società senza paura è una società senza fondamento” sentenzia questa grottesca autorità mascherata che si muove a scatti e regola il livello di paura da somministrare alle persone grazie ad un dispositivo a pulsanti.
Nella caleidoscopica parata teatrale i personaggi sono efficacemente caratterizzati da diverse espressioni dialettali e tratti mimici peculiari. Albanese riesce a stupire, a trasformarsi di volta in volta riconfermando un talento comico-artistico già ampiamente riconosciuto. Assieme alle nuove comparse, ritroviamo sul palco anche vecchie conoscenze già note al grande pubblico: il sognatore Epifanio, L’industriale Perego ed il politico corrotto Cetto La Qualunque. Il filo conduttore che ci accompagna nella performance sono le diverse paure della società contemporanea impersonate dai personaggi albanesiani alle prese con la paura del terrorismo, della colonizzazione cinese, della noia o addirittura della felicità.
Le moderne fobie del quotidiano non sono però l’unico spunto di riflessione offertoci dalla messa in scena. Nel prologo compare un Albanese burattino danzante, contrapposto all’immagine proiettata alle sue spalle di un alter ego incravattato che recita slogan mediatici con aria persuasiva. “Siamo sereni” ripete pomposamente l’immateriale faccione parlante “Stiamo bene in questo gran bel mondo e in questa gran bella Italia”. Potrebbe addirittura sembrare convincente se il ritornello non risultasse sempre più ossessivo e distorto, fino ad essere smentito da ciò che sul palco succede davvero. Più volte nel corso dello spettacolo si riprende questo gioco straniante che vorrebbe farsescamente imporre l’artificiale sul reale. Il personaggio si sdoppia, si ricompone, conversa con se stesso e con il pubblico in cerca di conferme e mentre ci fa ridere, ci fa anche riflettere e a tratti quasi ci commuove.
Infine la chiusura del sipario si avvicina ed Albanese si umanizza, rifiuta le finzioni e abbandona iperboliche caratterizzazioni mimico-linguistiche per parlarci da vicino, semplicemente. Per dirci che nonostante le forzature, le inutili complicazioni, le paure, che nonostante tutto insomma, possiamo ancora stare bene se non dimentichiamo le piccole cose che ci rendono felici, come riuscire a dire spontaneamente “Ti amo” o andare a pescare.
Ancora una volta diretto da Giampiero Solari, a cinque anni dal successo di “Giù al nord”, torna a calcare le scene teatrali Antonio Albanese. Prende il nome di Psicoparty la sua istrionica interpretazione di personaggi che mettono in piazza i propri timori e cercano di esorcizzarli. I testi di Albanese e Michele Serra sono incisivi e brillanti, la regia utilizza in maniera intelligente e consapevole i propri mezzi ed il risultato convince, diverte, coinvolge. Attraverso una sagace osservazione di piccole psicosi in qualche modo comuni a tutti, lo spettacolo mette in scena gli spettatori stessi, non solo metaforicamente ma addirittura fisicamente attraverso lo specchio che riflette sul palco le persone sedute nelle prime file durante una scena chiave nella rappresentazione. Si tratta dell’ingresso in scena del Ministro della Paura, “La paura è un ingrediente formidabile del potere, una società senza paura è una società senza fondamento” sentenzia questa grottesca autorità mascherata che si muove a scatti e regola il livello di paura da somministrare alle persone grazie ad un dispositivo a pulsanti.
Nella caleidoscopica parata teatrale i personaggi sono efficacemente caratterizzati da diverse espressioni dialettali e tratti mimici peculiari. Albanese riesce a stupire, a trasformarsi di volta in volta riconfermando un talento comico-artistico già ampiamente riconosciuto. Assieme alle nuove comparse, ritroviamo sul palco anche vecchie conoscenze già note al grande pubblico: il sognatore Epifanio, L’industriale Perego ed il politico corrotto Cetto La Qualunque. Il filo conduttore che ci accompagna nella performance sono le diverse paure della società contemporanea impersonate dai personaggi albanesiani alle prese con la paura del terrorismo, della colonizzazione cinese, della noia o addirittura della felicità.
Le moderne fobie del quotidiano non sono però l’unico spunto di riflessione offertoci dalla messa in scena. Nel prologo compare un Albanese burattino danzante, contrapposto all’immagine proiettata alle sue spalle di un alter ego incravattato che recita slogan mediatici con aria persuasiva. “Siamo sereni” ripete pomposamente l’immateriale faccione parlante “Stiamo bene in questo gran bel mondo e in questa gran bella Italia”. Potrebbe addirittura sembrare convincente se il ritornello non risultasse sempre più ossessivo e distorto, fino ad essere smentito da ciò che sul palco succede davvero. Più volte nel corso dello spettacolo si riprende questo gioco straniante che vorrebbe farsescamente imporre l’artificiale sul reale. Il personaggio si sdoppia, si ricompone, conversa con se stesso e con il pubblico in cerca di conferme e mentre ci fa ridere, ci fa anche riflettere e a tratti quasi ci commuove.
Infine la chiusura del sipario si avvicina ed Albanese si umanizza, rifiuta le finzioni e abbandona iperboliche caratterizzazioni mimico-linguistiche per parlarci da vicino, semplicemente. Per dirci che nonostante le forzature, le inutili complicazioni, le paure, che nonostante tutto insomma, possiamo ancora stare bene se non dimentichiamo le piccole cose che ci rendono felici, come riuscire a dire spontaneamente “Ti amo” o andare a pescare.
di Cristina Favento
sono il primo :)
RispondiElimina03:38, 28/7/2006 .. Inviato da Anonymous
Viviamo in una società frenetica e il mondo evolve in qualcosa di cui ci rendiamo conto solo dopo.
Dopo che qualcun altro si è fatto i suoi conti includendo (e governando) noi x tacito consenso.
La gente è come un gregge di pecore, con la differenza che è pure diffidente e sospettoso al tempo stesso.
Albanese fa bene a cogliere questo aspetto, se vogliamo banale ed evidente, della nostra società e usarlo per sminimizzare in qualche modo il "timore reverenziale" della gente nei confronti del potere a dello stato, concludendo dopo una lunga digressione sulla "spontaneità come chiave per stare ancora bene"... conforta il comune cittadino...mi viene in mente "Ipotesi di complotto" con Mel Gibson e Julia Roberts...
sergio
grazie per il tuo originale contributo,
RispondiEliminacris