04 febbraio 2008

STORIE DI ALBERI, STORIE DI UOMINI, intervista a RICCARDO MARANZANA

Dai testi di Mauro Corona, scrittore a artista friulano, nasce “Storie di alberi, storie di uomini”, una lettura con musica dal vivo in scena al Teatro Miela da domani al 6 febbraio. “Noi siamo alberi e gli alberi sono uomini”, recita una frase dell’autore, a ricordarci come il nostro destino, nel bene e nel male, sia indissolubilmente legato a quello della natura. A curare la regia del progetto è Riccardo Maranzana, che sarà anche interprete del testo assieme a Franco Korosec e Claudia Grimaz, controcanto femminile rispetto all’io narrante e “anima lunare del bosco e delle piante”.

“Ho conosciuto Corona in occasione dell’adattamento, curato con la regista Sabrina Morena, per “Il fondo del bicchiere” (tratto da “Aspro e dolce” e messo in scena al Miela nel 2006) e sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla sua disponibilità”, spiega Maranzana. “Nel testo ripercorre la sua vita e racconta le sue disavventure alcooliche, ci sono tantissime situazioni e personaggi. Il nostro adattamento prevedeva, invece, solo tre personaggi e, più che riproporre testualmente, ripercorreva le atmosfere evocate dal romanzo. Corona, contrariamente a quanto avviene di solito, ha compreso e sostenuto il nostro lavoro, non è stato geloso delle sue pagine.
Perché ha scelto nuovamente i suoi testi?
Quando Sabrina mi ha proposto il primo lavoro, ero stato convocato solo in veste di attore. La lettura del libro, però, mi ha molto colpito. Ho capito subito che si trattava di materia adatta a situazioni teatrali e mi sono appassionato ai temi dell’autore. Non si parla solo di boschi e di natura, c’è molta tragicità, che ben si presta alla vita scenica dove i conflitti sono necessari. Qualcuno ama ma non è riamato; la natura è meravigliosa ma non sempre amica; la vita è bella ma è anche terribile. Nel testo non c’è giudizio morale. Mi piacciono il rispetto, l’umiltà che Mauro può insegnare, che ci dicono le sue storie, il suo raccontarsi senza pudore, con sincerità.

Lo spettacolo sembra suggerire allo spettatore di rimanere in ascolto…
Questo è uno dei messaggi che personalmente interpeto leggendo le cose di Mauro. Ci suggerisce di attivare altri sensi, che ti avvicinano ad altre realtà. Forse è necessario fare silenzio per poter udire altro, per dare spazio ad una dimensione più spirituale. C’è bisogno di trovare una solitudine interiore che non sia malinconica o triste ma semplicemente un vuoto necessario per sentire.
Non voglio suggerire agli spettatori cosa devono pensare, mi piacerebbe, però, portarli sotto un grande albero a riposare, riportare l’atmosfera del bosco e delle piante a teatro. Non in senso fisico, non ci sarà nessun albero, neppure un ramoscello, ma solo con voci, musica e immagini, evocative per contrasto o affinità.

Che rapporto c’è, invece, tra testo e musica?
Per associazione alogica, invece di immaginare la lettura e quindi la musica come sfondo e commento, assieme ai musicisti abbiamo scelto dei pezzi che stessero assieme per sentimento. Come se le voci e la musica fossero entrambi protagonisti, a volte assieme a volte alternandosi, e portatori d’immagini. L’intento è regalare sensazioni, emozioni, provocazioni, anche grazie all’imprevedibilità jazz, ai suoi ritmi meno quadrati. Non ci sono risposte così come non ci sono nei testi di Mauro, spesso criticati per l’eccessiva semplicità che, però, è anche la loro forza.

di Cristina Favento,
articolo pubblicato su "Il Piccolo" di domenica 3 febbrario 2008

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