08 maggio 2008

UNO 007 TRIESTINO NELLA FICTION SU ALDO MORO, Intervista a Maurizio Zacchigna

In occasione del trentennale dei tragici eventi che segnarono il maggio 1978, domani e dopodomani, alle ore 21.15, Canale 5 trasmetterà una miniserie in due puntate dal titolo “Aldo Moro – il Presidente”, interpretata da Michele Placido assieme a Claudia Pandolfi e diretta da Gianluca Maria Tavarelli. Tra gli attori ingaggiati dalla produzione romana c’è anche il triestino Maurizio Zacchigna, reduce nell’ultimo anno da una lunga serie di partecipazioni a fiction televisive di successo: da “Maresciallo Rocca”, “Caso di Coscienza 3” e “Rebecca, la prima moglie” per la RAI a “RIS 4” e “Distretto di Polizia 7” per le reti Mediaset, a un episodio de “Il Commissario Laurenti” per la televisione tedesca.

Qual è il tuo ruolo nella mini serie tv che andrà in onda domani?
Interpreto un colonnello dei servizi segreti alle dipendenze dell’allora ministro degli interni Cossiga. Sono impegnato soprattutto nelle indagini sul covo dove è tenuto prigioniero Moro e, in un secondo momento, dovrò evitare che la moglie dello statista rompa il silenzio mediatico.

Come hai vissuto l’esperienza?
Rispetto ai precedenti lavori televisivi, l’impegno è stato diverso, soprattutto per l’impatto della vicenda trattata: non stiamo parlando di una storia inventata ma di un caso reale che ha scosso le coscienze di tutti. Tavarelli è un regista giovane, organizzato e con le idee chiare, ma so che hanno dovuto lavorare molto sulla sceneggiatura, ci hanno messo mano più volte, chiedendo diverse consulenze e incontrando i protagonisti reali della vicenda.

Cosa puoi raccontarci delle tue esperienze sul set?
Quello dell’attore televisivo, in genere, a meno che non si tratti del protagonista oppure di ruoli di primo piano, è un mestiere strano, che vive di momenti, tra un cambio di scena e l’altro. Ti studi la parte, prepari le battute e ti presenti quando e dove richiesto, senza, però, sentirti parte del tutto. Non hai la percezione dell’insieme, non sai nemmeno chi incontrerai sul set o che cosa esattamente indosserai. Il piacere della recitazione sta nel concentrare tutto in quei due minuti nei quali l’occhio della telecamera ti riprende. Devi riuscire a stare dentro la parte senza pensare ad altro. Non c’è un’evoluzione psicologica da interpretare in tempo reale, tutto è sezionato. I tempi di produzione impongono anche di girare assieme scene completamente slegate rispetto alla sequenza cronologica del film.

Hai alle spalle una solida formazione e molti anni di esperienze prettamente teatrali, come hai vissuto il passaggio dal palcoscenico alla tv?
Nel corso della mia carriera ho imparato a vivere la mia professione a 360°. La televisione ti dà grande visibilità, anche una minima particina, a volte, ha un peso specifico molto più rilevante rispetto ad un’intera, dura esistenza trascorsa in scena a teatro. Sono come due figli trattati senza equità: l’uno, pur facendo poco, si vede subito riconosciute quelle dignità d’artista, fama e riconoscibilità che l’altro potrebbe non raggiungere mai, nonostante lavori sodo, produca in senso culturale, abbia accumulato molta esperienza e sia capace di stare davanti ad un pubblico.

Progetti futuri?
Vivere del mio mestiere. Il mio baricentro resta quello di un attore teatrale. Nello specifico, mi considero un “attore della Contrada”, alla quale mi legano un profondo senso di appartenenza e una sincera solidarietà di progetto. Troppo spesso la compagnia viene identificata con un’immagine cittadina che si porta dietro dalle origini e rischia di essere riduttiva.
La Contrada ha assunto una reale funzione di teatro pubblico: nei suoi rapporti con istituzioni e amministrazioni, nell’attenzione dedicata alle scuole o nella capacità di trasformare la città stessa in un teatro a cielo aperto, per non dimenticare un’Accademia che funziona e la qualità delle produzioni, due delle quali sono in questo momento in tourneé nazionale con attori di fama.

di Cristina Favento, pubblicato su "Il Piccolo" di martedì 6 maggio 2008

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